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124 del rinnovamento civile d'italia


Vano è dunque lo sperare che una religione fondata in amore e fratellanza reprima l’impulso onde fu la prima origine e rinneghi i propri insegnamenti. I quali sono cosí bene accordati e librati fra loro, che chi uno ne ripudia tutti gli annulla1; tanto che indarno si predica ai popoli la pazienza, se ai capi non s’ingiunge di agevolarla colla giustizia. Fra i divieti mosaici si ammira giustamente quello per cui s’interdice l’appetito degli altrui beni. «La societá — scrive un prelato — non può esser franca dai rischi del comunismo se non si tronca il male nella sua radice, la quale versando nelle brame immoderate, queste si vogliono combattere ed estirpare. Ora solo il cristianesimo è capace di tanto: solo esso (e ciò concorre a chiarirlo divino) poté con legge speciale proibire sino al desiderio. L’interdetto poté parere a principio di necessitá men grave e di pratica meno frequente. Ma ecco che dopo trentatré secoli nasce a travagliare il nostro vivere civile un morbo incognito e tremendo, a cui la prefata proibizione può sola apprestare un rimedio efficace. Imperocché non altri che Dio può munirla di sanzione e sindacarne l’adempimento»2. L’interdizione fatta ai poveri di appetire i beni dei ricchi importa l’obbligo nei governanti di frenare la cupidigia dei ricchi e di provvedere ai bisogni dei poveri; e mira non mica a sciogliere i rettori da questo debito, ma a render tollerabili le imperfezioni della sua pratica. Ogni divieto suppone un precetto correlativo: se agli uni è tolto di desiderare, agli altri è prescritto di fare. Il che tanto è vero che lo stesso autore avverte che «la legislazione divina degl’israeliti è la sola che mantenesse in certo modo l’egualitá dei beni mediante l’instituzione mirabile dell’anno sabbatico e del giubbileo. Ma questo compenso non poteva introdursi né durare se non in una tal forma di governo che fosse affatto teocratica»3. Sta bene; ma dove manca questo ripiego

  1. «Quicumque totam legem servaverit, offendat autem in uno, factus est omnium reus» (Iac., ii, 10).
  2. Parisis, Cas de conscience, Paris, 1847, pp. 177, 178.
  3. Ibid., p. 167 nota.