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libro primo - capitolo settimo 167


che l’uomo sia un’ipostasi dell’assoluto, si reputi la filosofia hegeliana per l’apice del sapere e si ponga nella terra la cima del creato; sentenze non solo vane ma assurde dopo le scoperte di Galileo e del Copernico.

Né l’idea confusa di un modello che non si può attingere è inutile, poiché giova ad approssimarsegli; e l’approssimazione è il corso del finito verso l’infinito, come la perfettibilitá è l’assintoto che mai non giunge a toccare la perfezione. Il quale accostamento successivo negli ordini sociali è la civiltá, cioè l’esplicazione delle forze mondiali col concorso dell’arbitrio umano, nel doppio giro delle idee e delle cose, del sapere e dell’azione; onde la notizia confusa dell’archetipo si va dischiarando di mano in mano che lo stato civile se gli appressa. E tali due processi vanno di fianco e son paralleli, come identici in sostanza, atteso che la cultura non è altro che la lenta e progressiva trasformazione dell’idea in fatto e del sensibile in intelligibile, in guisa che ogni cosa dalla mente nasce e alla mente ritorna. Perciò la vita effettuale degli esseri e la loro conoscibilitá relativa camminano di conserva e si confondono insieme. Siccome però il finito non può convertirsi nel suo contrario, il relativo non diventa mai assoluto, e per quanto si proceda, l’esemplare è sempre egualmente distante cosí dalla pratica come dalla teorica; di che séguita il canone infinitesimale: che l’approssimamento, quanto che grande, non menoma la distanza.

I lavori dell’ingegno indirizzati a ombreggiare in qualche modo la perfezione sociale chiamansi «utopie», perché non han luogo effettivo e spaziano nel campo indistinto delle idee perplesse e delle astrazioni. Ogni conato per mandarle ad effetto involge una ripugnanza, conciossiaché tanto vale il fare dell’utopia una topica quanto il pensare l’inescogitabile e il circoscrivere l’indefinibile; cosicché l’utopista che vuol farla da statista diventa poeta e, in vece di colorire un sistema e uno Stato, ordisce una favola. Havvi infatti una mitologia politica che somiglia alla religiosa, con tal divario però: che gli autori di questa sogliono locare le lor fantasie nel passato e abbelliscono la tradizione, dove che gli utopisti le accampano