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libro primo - capitolo undecimo | 347 |
efferaverant speciem oris»1. Se non che in vece d’infemminire gli uomini secondo l’uso gesuitico, essi brigansi di ritrarre l’etá matura all’adolescenza. I giovani sono la parte piú preziosa della civil comunanza, perché ne contengono l’avvenire e aggiungono vita, calore, impeto alle provette generazioni; ma non possono operare utilmente senza il concorso e la guida loro. Nessun ordine umano è durevole se non ha per fondatori e sostegni i padri di famiglia, ché il consorzio domestico è l’instituto originale e il primo frutto della creazione civile e il germe, la base, la guardia della cittá e della repubblica. Troppo è assurdo che signoreggi in su la piazza chi è suddito in casa, e che tocchi l’ubbidire negli ordini pubblici a chi nei privati dee comandare. E i giovani, quando voglion fare da sé, perdono i vantaggi, i pregi, le prerogative beate dell’etá loro e, per ispacciarla da uomini anzi tempo, ritornan fanciulli. Trascorrono agli eccessi e in vece di far prova di forti si mostrano deboli, perocché la vera forza risiede anzi tutto nel moderare se stesso. Onde le loro fatture se ne vanno con un soffio, come alzate di carte e gallozzole di sapone. Tanta è la baldanza dei puritani, che presumono non pure d’improvvisare Stati novellini che vengano su in un momento a uso delle zucche e dei funghi, ma d’introdurre eziandio religioni nuove e rivolgere gl’instituti abbarbicati ne’ secoli, stimando di potere in un batter d’occhio e senza studio e fatica dar opera a quello che oggi si crede impossibile in qualunque modo dagl’ingegni piú eccelsi e privilegiati.
Questa fanciullezza e bambineria apparisce eziandio nello stile, effigie naturale dell’animo, giacché il buon gusto è verso la forma del parlare ciò che il buon giudizio è verso la sua materia. I puritani sogliono essere ampollosi, scompigliati, secentisti; assueti a recare i deliri poetici nella prosa e le eleganze notariali nei versi: vogliono essere, come dicono, sentimentali e romantici, riuscendo in effetto eunuchi e barbari.
- ↑ Liv., ii, 23. Il Leopardi deride con molto sale le barbe e le basette dei puritani (Opere, t. i, p. 115; Paralipomeni, vi, 16, 17), come altrove descrive l’ignorante loro burbanza (Opere, t. ii, pp. 91, 92).