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libro primo - capitolo undecimo | 357 |
le nazioni, cospira in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Isvizzera, in Italia, e concita i popoli a moti intempestivi, i quali non potrebbero avere altro frutto che di avvilire la forma di Stato che celebra, accrescere le pubbliche sciagure, far vittime inutili e ritardare il giorno della liberazione. In vece di spargere e accreditare le idee democratiche con iscritti sodi e sostanziosi, egli le rende ridicole agli uni, formidabili agli altri con proclami e programmi fuor di proposito, che non insegnano perché vuoti, non persuadono perché eterocliti, non indirizzano perché fondati in aria o sopra una capricciosa presunzione degli eventi, e non hanno nemmeno il pregio di accendere gli animi (che è l’utile sperabile da tali scritti) perché troppo frequenti e pieni di promesse e di vaticini che di giorno in giorno sono smentiti dalla sperienza. Benché il governo della repubblica francese siasi portato in modo indegnissimo verso Roma, il Mazzini non ha buon viso a querelarsene, essendosi egli adoperato per tanti anni colla lingua, coi pensieri, colle opere, a plasmare un’Italia gallica, e perciò meritando di vedere l’opera sua disfatta da quei medesimi che avea tolto a modello. Tuttavia, se egli avesse protestato con dignitá di ragioni come interprete di un popolo oppresso da iniqua trama, le sue parole sarebbero state autorevoli ed applaudite. Ma all’incontro, scordandosi il decoro della carica avuta e parlandone come ne fosse ancora investito, egli insulta Alessio di Tocqueville, comanda che si tronchi ogni traffico colla Francia, si sottoscrive «triumviro di Roma», parla in nome d’Italia come ne fosse principe, suscita indegne vessazioni contro i repubblicani sinceri che non lo riconoscono per loro capo, impronta danari quasi che ci fosse autorizzato dalla nazione, minacciando ridevolmente chi ne porge al nemico; il che non sogliono né anco gli autocrati e gl’imperatori. Insomma egli la spaccia da pretendente e da fondatore di una dinastia nuova, con piú prosopopea e boria che non fanno i rampolli borbonici di Spagna e di Francia.
I fatti recenti provano dunque che il Mazzini non è meno ostinato del Pinelli e che la conversione dei puritani non è piú sperabile che quella dei municipali. Ora nel modo che il Pinelli,