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208 del rinnovamento civile d’italia


pentirci di averlo fatto, perché allora si richiedeva. Se sperando nei potenti si fece poco, disperando di loro non si saria riuscito a nulla, giacché da essi provenne la possibilitá del cominciare. Nel Rinnovamento l’ Italia dovrá confidare massimamente in se stessa, perché la coscienza nazionale è desta e non si tratta che di nutrirla. Non dico giá che se un principe italiano sia per aspirare all’unica gloria di redimere la patria italiana e mostri di voler recare nell’arduo proposito maggior senno che non fecero i passati, si debba rifiutar l’opera e lasciare di confortarvelo. Tanto errano i puritani a ripudiare assolutamente ogni concorso del principato, quanto altri a riporvi troppa speranza. La veritá e la dignitá stanno nel mezzo; e se si dee accettare il servigio anco dei re, non bisogna però farne troppo gran capitale, giacché essi sono uomini come gli altri, capaci di errore, sottoposti a mille casi, né possono far prova di valorosi e di forti se i popoli gli adulano e gli adorano cortigianamente. Si eviti adunque d’ora innanzi quella furia di precòni e di applausi onde si fece tanto scialacquo, si attendano i fatti prima di lodar le parole, e non si esaltino le inezie come fossero imprese e vittorie.

Il tempo e il modo del Rinnovamento sono incerti; ma constando esso, come ogni gran fatto, di apparecchio e di esecuzione, tocca a noi il prepararlo, affinché, giunta l’ora, si vada per la via diritta e si possa sortire un esito fortunato. A quest’opera si vorrebbe consacrare l’interregno presente, come uno di quegli spazi di riposo e di tregua che il cielo concede ai popoli per allenarli a riprendere con nuove forze l’interrotto cammino. Ma in che consiste questo apparecchio, per ciò che riguarda i privati, se non nell’educare la pubblica opinione? Ogni azione e mutazione esterna si radica nel pensiero e ne piglia le mosse. E il pensiero politico muove dal filosofico, dal letterario, dal religioso, e insomma dal pensiero universalmente. Io mi sforzai, secondo le mie posse, di riformare il pensiero italiano su questi vari capi negli anni che precedettero le nostre ultime vicende, seguendo non mica l’impazienza di certuni, ma quelle leggi di gradazione e di proporzione che governano il mondo