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76 del rinnovamento civile d'italia


Tacerò pure di Leopoldo toscano, principe senza polso e senza pensieri, non però senza astuzie, colle quali gli animi deboli cercano di supplire all’ingegno: mite per fievolezza non meno che per virtú e anche pel genio privilegiato del paese; governato in casa dai familiari, in piazza dai municipali o dai tedeschi, secondo le occorrenze. Per alcune di queste doti egli somiglia al regnante pontefice: se non che questi, e per l’altezza spirituale del grado e per essere entrato il primo nelle vie del Risorgimento, gli fu assai piú pregiudiziale quando prese a combatterlo; laddove senza il cattivo esempio di Roma, le arti di Napoli e gli errori del Piemonte, il granduca non sarebbe uscito del segno o saria stato facile il ricondurvelo. Perciò il mio discorso dei principi si ristringerá a Pio nono e a Carlo Alberto, i quali come ebbero le prime parti nel movimento cosi contribuirono a sviarlo, benché in modo e in grado molto diverso, non mica per malizia come Ferdinando, ma per imperizia e per non esser pari di mente e d’animo a un’impresa di tanta mole. Vero è che ad alcuni io parrò temerario a notare gli errori e i difetti di tali due principi. Ma non mi è difficile il giustificarmi, imperocché per ciò che riguarda il primo io conosco quanto altri la riverenza dovuta alla sacra persona e autoritá del pontefice e credo di averne fatto prova nelle varie mie opere. Ma l’osservanza del grado e la piacenteria verso l’uomo sono cose differentissime: la prima è prescritta al cattolico, la seconda è vietata al cristiano; e se l’una è debito di religione, l’altra è offesa del



    napoletano in quest’una: che «l’ateismo vi è messo in arte e ragione di Stato». Peggio non si può dire della tirannide piú feroce. E tuttavia la sentenza non parrá esagerata a chi pesi i fatti certi e irrepugnabili che vi si raccontano, i quali non sono che una piccola parte di quelli che altri potria raccogliere (consulta Massari, Parole di ringraziamento al signor Guglielmo Gladstone, Torino, i55i). Lo scritto dell’illustre inglese ha un pregio comune a pochi libri, cioè quello di fare che chi aspira a combatterlo non riesca che a confermarlo. Tal fu la sorte incontrata al signor Macfarlane e a parecchi giornali retrivi e spigolistri o prezzolati d’Italia, d’Inghilterra e di Francia, alle fatiche dei quali se non all’intenzione deggiono però gl’italiani essere obbligati. Né altro effetto ebbe la giustificazione recente pubblicata per ordine del re di Napoli; il quale, coll’inetta difesa suggellando la propria infamia e l’altrui innocenza, ha meritato per la prima volta la riconoscenza di tutti i buoni.