Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/130

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la casa e il municipio alla nazione. Le condizioni del nostro vivere e la guasta educazione paiono persino avere ingrossati e arruviditi gl’intelletti, scemata la delicatezza e la finezza del pensare e del sentire; onde i palati moderni sono ottusi, non che all’alta eloquenza, ma all’ironia socratica, al sale attico, all’urbanitá romana e a quanto l’antichitá classica ha di pili caro e di piú gentile.

Questi difetti contribuirono a divezzar gl’ingegni dai prosatori e a far si che il culto studioso delle lettere amene non esca quasi dai poeti, giacché rari sono gli uomini di tal saldezza che consentano a travagliarsi in istudi noiosi o poco piacevoli. La qual difficoltá è assai minore presso gli altri popoli culti, per la ragione detta dianzi e anche per un’altra che mi resta a soggiungere. La quale si è che la lingua italiana tenendo del sintetico a uso delle lingue antiche (benché meno di loro), lo scriver bene, massimamente in prosa, vi è assai piú malagevole che nelle lingue schiettamente analitiche, come sono per esempio il francese e l’inglese dei di nostri. La perfezione delle lingue sintetiche, versando in un magistero piú composto a gran pezza e intrigato che quello delle altre, è tanto piú ardua e dipende da un mondo di sottili e minute avvertenze, che vogliono molta attenzione a notarle nei classici e assidua pratica e lunghe fatiche a saperle bene adoperare. Ora quest’arte è affatto ignota anche presso i piú di quelli che si pregiano di eleganza, tanto che il far derivare la bontá dello stile di tali minuzie pare una pedanteria ridicola; come se nella natura e nella meccanica e in tutti i generi di cose i minimi non importassero quanto i massimi, sovrattutto quando non si tratta della bontá sola ma della bellezza. Chi è, per cagion di esempio, che oggi, scrivendo, metta qualche studio nell’arte difficile delle transizioni, nelle quali i migliori moderni sono di gran lunga inferiori agli antichi? ovvero che conosca e possegga il buon uso delle particelle e degli anacoluti propri della nostra lingua? E pure il Cesari non eccede a dire che «nelle prime dimora forse tre quarti della eleganza e della grazia, non pur della nostra, ma di tutte le lingue», facendo esse nella favella lo stesso ufficio che i nodi