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documenti e schiarimenti | 315 |
e il cavaliere Pinelli, i quali (e specialmente il secondo) vennero da me piú volte in quei giorni e usarono lo stesso linguaggio. Il Pinelli si espresse nei termini piú efficaci e piú vivi intorno alla necessitá della pace e all’impossibilitá della guerra; il Merlo fece altrettanto, benché piú concisamente». A questo mio discorso il professore Merlo oppone due osservazioni: 1. che egli e i suoi colleghi volevano una pace onorevole; 2. che io voleva la guerra a ogni costo ed era alieno da ogni pratica di pace. Ascoltiamo le sue parole:
Dichiaro sull’onor mio che nei miei colloqui col signor Gioberti, tenuti dopo i disastri del nostro esercito, non ho mai detto una sola parola che lasciasse supporre esser io disposto a consentire ad una pace ad ogni costo, qualora fossi per entrare in un ministero; ché per lo contrario, tanto nella prima quanto in tutte le altre successive conferenze che ebbi col signor conte di Revel per la combinazione ministeriale e cogli altri miei colleghi che di mano in mano vi si accostavano, non si parlò mai d’altro scopo che d’una pace onorevole, e ninno meglio del signor Gioberti sa quale e quanta sia la differenza tra una pace onorevole ed una pace ad ogni costo. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Se poi il signor Gioberti supponesse avergli io raffermata l’opinione politica che egli attribuisce al predetto signor conte nella mattina del 20 agosto, in cui ebbi a visitarlo, dico che, ben lungi d’aver parlato di pace ad ogni costo, gli ho spiegato che tutta la differenza tra il pubblicato ministeriale programma e l’opinione del signor Gioberti consisteva in ciò: che il primo ammetteva la previa trattativa d’una pace onorevole, l’altro non ammetteva trattative di sorta e stava per la guerra ad ogni costo; e mi fu risposto da lui che la pace onorevole non l’avremmo ottenuta dall’Austria; ed io replicai che in tal caso il ministero non sottoscriverebbe mai ad una pace diversa.
Io non ho mai detto che il professore Merlo, il conte di Revel e i loro colleghi volessero una pace che nel loro concetto fosse disonorevole; anzi ho implicitamente accennato il contrario, chiamandoli nel mio Discorso al circolo nazionale di Torino «uomini onorandi e di buone intenzioni» e dando loro quelle lodi che si leggono nella mia scrittura sui Due programmi. Ma si tratta di vedere se la pace, chiamata e giudicata «onorevole» dal professore Merlo e dai suoi consorti per errore non d’animo ma d’intelletto, sia veramente tale; e se non sia anzi da riputarsi ignobile e vile, chi comprenda i veri interessi d’Italia e stimi dirittamente il decoro della nazione. Qui sta il punto della controversia e non