Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/48

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si fa una «dimostrazione» o un tumulto in piazza, si grida «Dio e il popolo!»; ed ecco incontanente nata, anzi cresciuta e adulta una repubblica. Io non ripudio certo né disprezzo anche i menomi spedienti che possono aiutare la risurrezione di un popolo; ma dico che se non si richiedesse piú arredo e maestria a procreare uno Stato, questo sarebbe di meno manifattura che il nascimento dei funghi. Né guari piú ricca è la suppellettile di dottrina e di senno che recano i municipali nel principato civile; con questo solo divario dall’altra setta: che la loro facile governativa non consiste nel moto ma nella quiete. Essi fanno pensiero che, raccapezzato uno statuto, altro non vogliasi a mantenerlo che contrastare alle riforme, soffocare i generosi impulsi, suscitar liti alla stampa, chiuder gli occhi ai casi esterni e avvenire, far divorzio dalla nazione, accovacciarsi in casa propria, e reggersi insomma colle massime degli arcavoli, come si vide in Piemonte quando la costoro sapienza entrò a inviare la causa pubblica.

La borghesia odierna (generalmente parlando) è piú disposta per invidia e grettezza d’animo a schiacciare l’ingegno che ad osservarlo e cavarne profitto. Piú savia e generosa di essa e delle fazioni in universale è la plebe, la quale conosce la propria insufficienza e, se non è corrotta, ammira l’ingegno e a lui con fiducia ricorre. E anche quando lo trascura nei tempi ordinari, si ricrede giunto il pericolo; il che non soglion le sètte, nelle quali la presunzione, la gelosia, il livore non cedono all’esperienza e superano ogni altro riguardo. «Perché gli eccellenti uomini nelle repubbliche corrotte, nei tempi quieti massimamente, e per invidia e per altre ambiziose cagioni sono inimicati, si va dietro a quello che da un comune inganno è giudicato bene o da uomini, che piú presto vogliono il favore che il bene dell’universale, è messo innanzi. Il qual inganno di poi si scuopre nei tempi avversi, e per necessitá si rifugge a quelli che nei tempi quieti erano come dimenticati» (0; laddove nelle monarchie l’errore suol essere perpetuo, perché

(i) Machiavelli, Disc., n, 22. Consulta 111, 16.