Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/92

Da Wikisource.

dei predetti e i due gran fiorentini formano il triumvirato piú insigne della scuola patria, nato e nudrito nelle due repubbliche piú cospicue della penisola. Nel Regno (feracissimo di alti spiriti quanto sterile di buoni governi), non potea allora fiorir gran fatto la scienza pratica; onde la politica non ci usci dalle utopie come nel Campanella, dall’erudizione come nel Gravina, e dalle speculazioni come nel Vico. E quando piú tardi ebbe aneli ’esso i suoi statisti piú positivi, e i due estremi d’Italia, Milano e Napoli, gareggiarono nel culto della filosofia civile, non può negarsi che, profittando nella pratica, non si scapitasse nella profonditá ed elevatezza, e che l’italianitá e spontaneitá dei pensieri non la cedessero al gusto delle imitazioni. Un gran poeta ristorò l’opera del poeta sommo, richiamando gli animi al fare antico, riaccendendo l’amore e lo studio dei propri maestri (0 e sfatando la «semifilosofia» ( 1 2 ), che sotto nome di «sapienza» ci era portata di fuori e che molti dei nostri comperavano a prezzo del genio patrio e del decoro nazionale.

L’Italia ha dunque una scuola politica che dalle etá piú vetuste discende insino alla nostra senza notabili interruzioni, scuola

(1) L’Alfieri instaurò il culto di Dante e fondò quello del Machiavelli, porgendone primo l’esempio.

(2) «Una moderna noncuranza di ogni qualunque religione, frutto anch’essa (come ogni altra rea cosa) del principato, fa si che i nostri santi non vengono considerati e venerati da noi come uomini sommi e sublimi, mentre pure eran tali. Ciò nasce, per quanto a me pare, da una certa semifilosofia universalmente seminata in questo secolo da alcuni scrittori leggiadri o eccellenti quanto allo stile, ma superficiali o non veri quanto alle cose. I libri di costoro, andando per le mani di tutti, stante la loro seducente facilitá, imprestano una certa forza d’ingegno a chi non ne avea per se stesso nessuna; a chi poca ne avea, un’altra poca ne accrescono; ma a chi moltissima ne avea da natura, se altri libri non avesse letti che quelli, riuscirebbero forse a deviargliela adatto dalla vera strada. Da questa semifilosofia proviene che non si sfondano le cose e non si studia né si conosce appieno mai l’uomo. Da essa proviene quella corta veduta per cui non si ravvisa nei santi il grand’uomo e nei grandi uomini il santo. Per essa non si scorgono manifestamente negli Scevoli e nei Regoli i martiri della gloria e della libertá, come nei bollenti e sublimi Franceschi, Stefani, Ignazi e simili non si ravvisano le anime stesse di quei Fabrizi, Scevoli e Regoli, modificate soltanto dai tempi diversi» (Alfieri, Del principe e delle lettere, in, 5). Ho riferito questo passo, perché meglio di ogni altro dimostra quanto l’astigiano avanzasse il suo secolo.