Pagina:Giosuè Borsi - Lettere dal fronte, 1918.djvu/30

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pensando che anche noi siamo altrettanto bisognosi d’indulgenza, di clemenza e di pietà, peccatori deboli ed effimeri come siamo. Anche noi abbiamo tanti debiti da pagare, tante colpe da farci perdonare.

La morte di quello sventurato, degno del nostro più sollecito rispetto, poichè anch’egli è stato riscattato dal Sangue del nostro Redentore, dovrebbe farci vedere anche un’altra cosa: quanto son vani e irrisori i beni del mondo. La sua incontinenza l’ha ucciso, per insegnarci ad essere sobri e frugali, ad evitare i pericoli dei godimenti materiali e bassi. E l’ambizione a che gli ha servito? Iddio gli ha tolto tutto in un istante. In che cosa aveva posto la sua felicità? Negli onori, nel piacere, negli agi, nel voler comandare, prevalere, brillare, piacere agli uomini. Ed ora? Che retaggio d’amore ha lasciato quest’uomo, la cui morte è stata desiderata e augurata con bramosia da sciacallo? Che beni porta con sè? Che sorte lascia ai suoi figli? Eppure era più debole che cattivo, e aveva della bontà, della nobiltà, della generosità, era molto migliore di quanto si credesse.