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pastoja, lo contorna in seguito colla parte di corda che proviene dal nodo corsoio, e passa il laccio definitivamente nel collare ove viene assicurato con un nodo imitante quello del salasso. Il rimanente del laccio è ancora sufficientemente lungo per poter afferrare l’estremità destra, legarla e fissarla nello stesso modo alla collana dell’incollatura.

«Il cavallo che si atterra, dice Rohard, mediante il processo che ho indicato, non cade mai tutto ad un tratto. Allorchè l’operatore, tirando sul laccio porta il membro posteriore sinistro in avanti e dal lato opposto alla diagonale, l’animale abbassa poco a poco la groppa, cade sempre lentamente e senza farsi male, anche su di un suolo duro ed ineguale; ma è facile farlo cadere su di un suolo unito, poichè non può indietreggiare che ben poco, e cade quasi sempre sul posto.» Riconoscendo al processo in quistione tutti i vantaggi che gli attribuisce Rohard, non gli accorderemo certamente la preferenza all’impiego delle pastoje, diremo anzi che presenta degli inconvenienti notabilissimi. Siccome si è quasi sempre obbligati, per ottenere la lunghezza richiesta, d’annodare lacci o corde le une in seguito alle altre, il nodo intermedio produce compressioni ed impedisce lo sdrucciolamento del legame. D’un altro canto, lo sfregamento del laccio nel pastorale del primo membro afferrato può produrre gravi incapestrature. Abbiamo eziandio rimarcato che, se nell’istante del rovesciamento l’estremità presa dal laecio non venne sufficientemente portata avanti, il