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anime vostre, tuttavia compiendo un dovere, oso sperare, signore e signori, nella vostra benevola cortesia.

Del vero nel pensiero e nella Natura si occupano da secoli filosofi e naturalisti; i filosofi che cercano di sapere ciò che appartiene all’attività dello spirito fuori dell’influenza diretta dei corpi esteriori, i naturalisti che cercano di separare quel che appartiene al mondo obbiettivo, del quale studiano le leggi. Ma le leggi del pensiero logico puro sono comuni ad entrambe, e la matematica non ne è che la conseguenza.

I concetti del numero, dell’estensione e del moto nelle loro forme primitive naturali sono proprî anche agli animali inferiori, che istintivamente conoscono la larghezza d’un burrone o le condizioni di stabilità di un nido, o costruiscono in forma esagonale le cellette di un alveare, o appena usciti dall’uovo si muovono con sorprendente agilità. Il bambino stesso sa distinguere ben presto l’idea dell’unità dalla pluralità, il prima dal poi, e muove incerto i primi passi in linea retta verso la mamma, che sorridente lo incoraggia e gli tende amorosamente le braccia. Ond’è che le nostre prime cognizioni matematiche trassero origine dai bisogni della vita comune di ordinare, numerare e misurare gli oggetti forniti dall’osservazione. E primi i Greci, guidati da Pitagora e da Platone, riconobbero la sovranità del numero e dell’estensione nella Natura, e diedero alla matematica un’esistenza propria e indipendente. Essa entrò nella storia del sapere umano come scienza esatta, e affinchè valesse meglio questo suo carattere andò sempre più idealizzandosi,