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68 vittorio alfieri


Tutto al sacro adorato antiquo rito
Pospongon essi, immoti scogli in onda;
E sua credenza anco il più vil fa ardito.
Fievol pianta non dà robusta fronda:
Dotta radice indomita dunqu’era,
Che impressïon solcò tanto profonda. —
Or di Cristo vediam se la severa
Dottrina a lato all’indottrina tua
Debba, o Voltéro, dirsi una chimera.
In poppa ha il vento, e spinta pur la prua
Non ha della tua frale nave al lido
Colui che più ne’ dogmi tuoi s’intua.
Ci vuol altro, a cacciar Cristo di nido,
Che dir ch’ell’è una favola: fa d’uopo
Favola ordir di non minore grido.
Sani precetti, ed a sublime scopo
Dà norma la Evangelica morale;
Nè meglio mai fu detto anzi nè dopo.
Stanco il mondo di un culto irrazionale,
E stomacato da schifosi altari
Su cui sempre scorrea sangue animale,
Di un sol Dio, maestoso e appien dispari
Da’ suoi fin là mal inventati Dei,
I non fetidi templi ebbe più cari.
Certo, in un Dio fatt’uom creder vorrei
A salvar l’uman genere, piuttosto
Che in Giove fatto un tauro a furti rei.
E un sacrificio mistico e composto
Più assai devota riverenza infonde,
Che un macellame e in su l’altar l’arrosto.
E un Sacerdote, che di sangue immonde
Le scannatrici mani al ciel non erge,
Un Iddio più divino in sè nasconde.
Cristo adunque, e, tra’ suoi quegli ch’emerge
Su gli altri tutti, il Divo Saulo, in opra
Ben poser l’acqua ch’ogni macchia asterge.
Gran mente, gran virtù, gran forza adopra
Chi, sradicando inveterato Nume,
Vi pianta il nuovo e se medesmo sopra.
Che se mai Cristo e Saulo al paganume
Stolidamente mossa avesser guerra
Senza vestirsi d’inspirato lume,
Avrian qualch’Idol forse spinto a terra;
Ma l’Idolatra fatto avrian più tristo,
Qual uom ch’a Dio nessun ne’ guai si atterra.