Pagina:Gobetti - La frusta teatrale,Corbaccio, 1923.djvu/132

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-spary e dal Graf nella loro critica, nessuno dei più recenti studiosi del Machiavelli (nè il pedantissimo Flamini, nè l’Osimo, più misurato e assennato, nè U. G. Mondolfo talvolta ardito e vigoroso) ha rinunciato a ripetere, sia pur incidentalmente, lo sciocco pregiudizio che il M. intendesse nella sua favola scrivere la satira dei frati e dei cattivi costumi cinquecenteschi. Ripetendo queste banalità il critico si preclude la via ad afferrare il ritmo obbiettivo della fantasia comica e riporta arbitrariamente alle sue idee di morale e di costume un’armonia artistica assolutamente estranea a qualsiasi valutazione fissa ad un criterio di umanità o di verità.

Il prologo del M. è ancora autobiografia. Indica una intenzione: perciò non è coerente con lo svolgimento e non è neanche un frammento artistico per sè, a causa della fretta un po’ nervosa.

Il prologo autentico è la prima scena tra Callimaco e Siro. S’imposta un vero e proprio giuoco fantastico, una partita di scacchi. Si ragionano, si valutano tutte le forze. Callimaco è l’impulso dialettico che darà vita all’azione: Siro l’osservatore dei risultati, il critico obbiettivo dell’intrigo che resta perciò quasi sempre equilibrato, come il frutto di un’arte e non di una passione. C’è tutta la commedia in sintesi: e c’è — questo più importa — il tono che devono conservare l’uno rispetto all’altro i personaggi. Callimaco non è l’automa Cleandro della «Clizia»: soverchiato dalla passione, si limita con l’ininterrotta autocritica: si sente sotto tutti i suoi atti, sotto le sue stesse intemperanze una giustificazione ragionata, un equilibrio. E’ esterno a se stesso quel tanto che basta per avere rapporto con gli altri personaggi, per parteci-