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210 ATTO PRIMO

Guglielmo. Fo umilissima riverenza alla signora donna Livia.

Livia. Serva, signor Guglielmo, accomodatevi. La cioccolata. (siedono: donna Aurora nel mezzo. Servitori partono). Come ve la passate, signor Guglielmo? State bene?

Guglielmo. Benissimo, per ubbidirla1.

Livia. Mi parete di buon umore questa mattina.

Guglielmo. Piuttosto; in grazia della signora donna Aurora.

Livia. Amica, che cosa avete fatto per lui?

Aurora. Niente. Io non posso far niente, e non ho merito alcuno.

Guglielmo. Perdoni, io sono fatto così. Quando ricevo una grazia, un benefizio, ho piacere che tutto il mondo lo sappia. La signora donn’Aurora mi ha voluto dar dieci doppie.

Aurora. Sì, ma io non ne ho il merito. Nè voi sapete da chi vi vengano somministrate.

Guglielmo. Io so che le ho ricevute dalle sue mani.

Livia. Dieci doppie gli avete dato? (a donna Aurora)

Aurora. (Questa cosa m’imbroglia un poco). (da sè)

Livia. Perchè non dargliene venti? (a donna Aurora)

Guglielmo. Oh signora! Sono anche troppe le dieci.

Aurora. Vi dirò, gliene avrei date anche venti, ma siccome egli è un giovane generoso, potrebbe spenderle con troppa facilità, perciò mi riserbo di dargliele un’altra volta2.

Livia. (Donn’Aurora vuol far troppo l’economa). (da sè)

  1. Pap. continua: «Gugl. Benissimo, signora, che non posso star meglio. Liv. Mi parete di buon umore questa mattina. Gugl. Le dirò. Quando ho danari, sono sempre allegro. Liv. Certamente; i danari rallegrano qualche volta. Gugl. Grand'obbligazioni ho qui alla signora Donna Aurora. Da vero: oltre l'onorarmi a tavola... Aur. Oh via, non dite altro. Gugl. Ella mi perdoni. Io son fatto così. Quando ricevo un benefizio, ho piacere che tutto il mondo lo sappia. Sì signora, la signora Donna Aurora mi ha donato... a Donna Livia. Aur. Non dite altro, vi dico. (Amica, io non posso soffrire sentirmi attribuire un merito che avete voi), piano a Donna Livia. Liv. (Ed io di questa cosa ne godo infinitamente), piano a Donna Aurora. E bene, signor Guglielmo, che cosa vi ha regalato la signora Donna Aurora? Aur. Zitto, a Guglielmo. Gugl. Dieci doppie, a Donna Livia. Frattanto che parlano, i servitori portano la cioccolata, la bevono tutti e tre, e dopo i servitori partono. Aur. (Oh diamine!) da sè. Liv. Dieci doppie e non più? Gugl. Le paiono poche? A me mi sembrano molte. Una doppia da quattro e tre doppie da due, nello stato in cui sono, mi paiono un tesoretto. Liv. Dieci doppie sole? perchè non dargliene venti? a Donna Aurora. Gugl. Oh, sarebbero state troppe. Aur. Vi dirò, gliene avrei date ecc.».
  2. Pap.: perciò dieci gliene ho date ora, e dieci gliene darò un’altra volta.