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L'AVVENTURIERE ONORATO 215

Aurora. (Come?) (da sè)

Guglielmo. Servito? Dove? In qual maniera?

Fermo. Sì signore, io era cameriere, ed ella era segretario.

Guglielmo. Da servire a servire vi è della differenza1.

Livia. Andate a rispondere all’imbasciata del signor Marchese. (a Fermo)

Fermo. (Vuol fare il Cavaliere, e anch’egli mangiava il pane degli altri). (da sè, e parte)

Aurora. Colui deve sbagliare; non vi conoscerà.

Guglielmo. Non signora, non ha sbagliato, dice la verità. A Roma ho servito da segretario. Partii dalla patria per i disordini della gioventù. Andai a Roma per mio diporto; finchè ho avuto denari, me la sono goduta; terminati questi, ho principiato a far de’ lunari. Non sapeva più come andar innanzi. Trovai un cavaliere che, conoscendomi, ebbe compassione di me, e l’ho servito da segretario. La carica per altro di segretario con un cavaliere di rango e di autorità, non toglie, anzi accresce l’onore ed il merito a un giovine nato bene, che voglia esercitarsi per avanzare le sue fortune.2

Livia. S’io fossi una signora di rango, esibirei al signor Guglielmo la mia piccola segretaria.

Guglielmo. Mi sarebbe di gloria l’onor di poterla servire.

SCENA XIII.

Il Marchese d’Osimo e detti.

Marchese. Oh! signora donna Livia, siete ottimamente accompagnata. (tutti sì salutano vicendevolmente)

Livia. Io ho piacere di non restar sola.

Marchese. Avete delle liti?

Livia. Perchè?

Marchese. Vedo che avete qui l’avvocato.

  1. Pap. aggiunge: signor somaraccio.
  2. Segue nell’ed. Pap.: «Aur. Eh, io lo sapeva che aveva fatto anche il segretario. Liv. S’io fossi ecc.»