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L'AVVENTURIERE ONORATO 229


sempre più m’incatena, e se assicurar mi potessi de’ suoi natali, non esiterei a sposarlo in faccia di tutto il mondo, e a dispetto di tutti quelli che aspirano alle mie nozze.

Paggio. Signora, è qui il signor maestro.

Livia. Chi?

Paggio. Il signor maestro. Quello che mi ha favorito, con riverenza, de’ cavalli.

Livia. Non lo chiamare mai più con questo nome. Egli è il signor Guglielmo. Fa che passi.

Paggio. (Ancora quando lo vedo, mi fa tremare). (da sè, parte)

SCENA vili.

Donna Livia, poi Guglielmo.

Livia. Non ha tardato a venirmi a vedere. Segno che conosce la mia parzialità, e l’aggradisce.

Guglielmo. Servitor umilissimo, mia signora.

Livia. Riverisco il signor Guglielmo: vi ringrazio che siete venuto a vedermi. Che vuol dire, che ora non mi parete più tanto allegro?

Guglielmo. Mah! S’è cangiato il vento, signora. Il mare parea per me abbonacciato, ma ora è più che mai in burrasca.

Livia. Che c’è? Qualche novità?

Guglielmo. La novità non è picciola. Il signor don Filiberto con gentilezza mi ha dato il mio congedo, ed io sono un uccellin sulla frasca, senza nido, senza ricovevo e senza panico.

Livia. Per che causa don Filiberto vi ha licenziato?

Guglielmo. Non saprei; male azioni io non ne ho fatte certo. Si sarà stancato di favorirmi.

Livia. Ma si licenzia di casa un galantuomo così da un momento all’altro? (La cosa mi mette un poco in pensiero!) (da sè)

Guglielmo. In fatti il mio decoro ne tocca in questo fatterello ch’è qui. Non ha voluto dirmi il perchè; credo per altro potermelo immaginare.