Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/348

Da Wikisource.
338 ATTO SECONDO

Arlecchino. Ecco. (si cava il cappello) Chinate il capo. Questo è l’albero della casa di don Alvaro, mio signore, fa un inchino)

Marionette. Oh che prezioso tesoro!

Rosaura. Eh, non è cosa da disprezzarsi, (lo prende) Ha detto altro?

Arlecchino. Ha detto, ma tanto ha detto, che mai e poi mai me lo sarei ricordato, se prudentemente in questa carta non non me lo avesse scritto. (dà un foglio a Rosaura)

Rosaura. Ora ti porterò la risposta. (va al tavolino)

Marionette. Ma dimmi un poco, che pazzia è questa di mutarti d’abito?

Arlecchino. Rispetto e gravità.

Marionette. Che! Sei già entrato in superbia?

Rosaura. Eccoti la risposta.

Arlecchino. Servo di donna Rosaura. (si cava il cappello, e se lo rimette)

Rosaura. Buon giorno.

Arlecchino. Addio, Marionette. (parte con gravità)

SCENA XVII.

Rosaura e Marionette.

Marionette. Oh che figura ridicola! Se abbandona la grazia francese, ha perduto il merito.

Rosaura. Vuoi che ti dica che costui si porta molto bene, e che si sa perfettamente trasformare in tutti i caratteri?

Marionette. Signora padrona, i vostri quattro amanti vi hanno regalata. Chi di essi vi pare che sia più meritevole della vostra gratitudine? Già m’aspetto sentirvi dire gl’Inglese: quelle gioje sono assai belle.

Rosaura. No, Marionette, nemmen per questo lo preferisco agli altri. La pace e l’amore non si comprano con simil prezzo. E poi Milord non vuol moglie.

Marionette. Dunque mi do a credere non avrete difficoltà a decidere che abbia ad essere preferito quello del ritratto.