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LA FAMIGLIA DELL'ANTIQUARIO 317


tito. In casa mia non voglio essere soverchiata. Non sono ancora in età da cedere l’armi al tempio.

Giacinto. Riverisco la signora madre.

Isabella. Buon giorno1.

Giacinto. Che avete, signora, che mi parete turbata?

Isabella. Povero figlio! tu sei sagrificato.

Giacinto. Io sagrificato? Perchè?

Isabella. Tuo padre, tuo padre ti ha assassinato.

Giacinto. Mio padre? Che cosa mi ha fatto?

Isabella. Ti ha dato una moglie, che non è degna di te.

Giacinto. In quanto a mia moglie, ne sono contentissimo; l’amo teneramente, e ringrazio il cielo d’averla avuta.

Isabella. E la tua nobiltà?

Giacinto. La nostra nobiltà era in pericolo senza la dote di Doralice.

Isabella. Si poteva trovare una ricca che fosse nobile.

Giacinto. Era difficile, nel disordine in cui si ritrovava la nostra casa.

Isabella. Con questi sentimenti non mi comparir più davanti.

Giacinto. Signora, sono venuto da voi per un affar di rilievo.

Isabella. Come sarebbe a dire?

Giacinto. A una sposa, che ha portato in casa ventimila scudi, mi pare che sia giusto di far un abito.

Isabella. Per la comparsa che deve fare, è vestita anche troppo bene.

Giacinto. Se non le si fa un abito buono, io non la posso condurre in veruna conversazione.

Isabella. Che? La vorresti condune nelle conversazioni? Un bell’onore che faresti alla nostra famiglia. Se le faranno un affronto, la nostra casa vi andrà2 di mezzo.

Giacinto. Dovrà dunque star sempre in casa?

Isabella. Signor sì, signor sì, sempre in casa. Ritirata, senza farsi vedere da chi che sia.

  1. Bettin.: Buon giorno, buon giorno.
  2. Bett.: torrà; Pap.: verrà.