Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, V.djvu/110

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100 ATTO TERZO

Pamela. Signore, questo complimento secondo me non si usa.

Ernold. Oh perdonatemi, io, che ho viaggiato, non ho ritrovato sì facilmente chi abbia negata a’ miei labbri la mano.

Pamela. Tutto quello che dalla gente si fa, non è sempre ben fatto.

Ernold. Baciar la mano è un atto di rispetto.

Pamela. È vero, lo fanno i figli coi genitori, e i servi coi loro padroni.

Ernold. Voi siete la mia sovrana.

Bonfil. Cavaliere, basta così.

Ernold. Eh Milord, tanto è lontano ch’io voglia spiacervi, che anzi de’ dispiaceri dativi senza pensare, vi chieggo scusa.

Bonfil. Prima di operare pensate, se non volete aver il rossore di chiedere scusa.

Ernold. Procurerò di ritornar Inglese.

Bonfil. Cara sposa, andiamo a consolare del tutto il vostro buon genitore. Venite a prendere il possesso, come padrona, in quella casa in cui soffriste di vivere come serva.

Pamela. Nel passare che io fo dal grado di serva a quel di padrona, credetemi che non mi sento a’ fianchi nè la superbia, nè l’ambizione. Ah signore, osservate che voi solo siete quello che mi rende felice; e apprezzo l’origine dei miei natali, quanto ella vale a farmi conseguire la vostra mano, senza il rossore di vedervi per me avvilito. Apprenda il mondo, che la virtù non perisce: ch’ella combatte, e si affanna; ma finalmente abbatte, e vince, e gloriosamente trionfa.

Fine della Commedia.