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170 ATTO SECONDO

SCENA XII1.

Il Contino Florindo, il Cameriere e detti.

Florindo. Servitor di lor signori.

Ottavio. Oh bravo, nipote. Presto, in tavola. (al cameriere)

Beatrice. Dove siete stato sinora? (a Florindo)

Florindo. Nella mia camera.

Ottavio. Eh, che le madri prudenti non domandano queste cose. È stato dalla sposa. Animo, signori, favoriscano. Levate le spade, i cappelli; libertà, libertà. Via, signori, vadano. Maledette le cerimonie. Non ancora? Chi ha fame, vada, chi non ha fame, resti. Damine, andiamo. (dà braccio a Clarice ed a Eleonora, e partono)

Beatrice. Dove sei stato, disgraziato? (a Florindo)

Florindo. Nella mia camera.

Beatrice. Dopo pranzo ci parleremo. (parte)

Florindo. Mia madre non mi gode; vengo a star con mio zio. (parte)

Dottore. Dunque anderò io2. (facendo le cerimonie con Pantalone)

Lelio. Con sua buona grazia, tocca a me.

Dottore. Dice bene, perchè è più affamato degli altri3.

Lelio. Dottor ignorante. (parte)

Dottore. Che dite, Pantalone amatissimo, di questo parassito insolente?4

Pantalone. Mi digo che un cavalier de bon gusto nol l’averia da sopportar.

Dottore. Il Conte lo soffre, perchè credo se ne serva nelle sue occorrenze5.

Pantalone. Ghe battelo l’azzalin?

  1. Sc. XXII nell’ed. Bett., XIV nell’ed. Pap.
  2. Bett.: Donca andarà me...
  3. Bett.: La dis ben, perchè l’è più affamà di alter.
  4. Bett.: Cossa dsì, Pantalon, de ste scroch insulent?
  5. Bett.: El Cont lo sopporta, perchè el sin serv in tel so occorrenz.