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IL CAVALIERE DI BUON GUSTO 187

Lelio. Mi maraviglio, non è vero.

Beatrice. Pur troppo è vero; l’ha detto anche a me, e che siete altiero e superbo.

Ottavio. Ingrato, incivile! Così parlate di chi vi fa padrone della sua tavola? Se fossi in casa mia, vi farei cacciar fuori dell’uscio da’ miei servidori.

Lelio. Ho detto quello ch’io sentiva dire dagli altri.

Ottavio. Ora siete in obbligo di disdirvi.

Lelio. Sì, lo farò, e lo saprete s’io lo farò. Intanto vi chiedo scusa, e nella vostra casa non ardirò mai più metter1 piede. (parte)

Ottavio. Gente perfida! gente indiscreta! Ma non facciamo che un uomo tristo turbi il sereno della nostra pace. Abbiamo a terminare la sera con allegria. In casa mia ho ordinata una piccola festa di ballo. Ora la sposa potrà venire. Donna Eleonora la condurrà.

Eleonora. Vi prego a dispensarmi, mi duole il capo.

Ottavio. Verrà con mia cognata e colla baronessa Clarice.

Clarice. Vi rendo grazie, ho premura di ritornare a casa.

Ottavio. Eh via! Che sono queste malinconie? Abbiamo riso tutto il giorno; vogliamo ridere ancor la sera. Via, cara damina, venite. (a Clarice) Via venite, o mia mezz’età. (ad Eleonora) Presto, andiamo. Florindo, date mano alla sposa. Andiamo un poco a ballare.

Eleonora. Non posso dir di no.

Clarice. Il conte Ottavio fa far le donne a suo modo.

Beatrice. Marchesina, andiamo.

Rosaura. Eccomi tutta lieta e contenta.

Ottavio. Andiamo a divertirci, andiamo a godere di quel bene che il cielo e la fortuna ci danno. Goder il mondo onestamente, con buona allegria, senza offender nessuno, senza macchine e senza mormorazioni, è quella vita felice, che costituisce il Cavalier di buon gusto.

Fine della Commedia.



  1. Bett.: poner.