Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, V.djvu/226

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212 ATTO PRIMO

Florindo. Cinquecento zecchini in una notte non è piccolo guadagno, ma poteva guadagnare assai più. Se teneva quel sette, quel maledetto sette, se lo tenevo, era un gran colpo per me. Mi ha detto quel sette fra il dare e l’avere altri mille zecchini. Ho quel maledetto vizio di voler tenere i quartetti, e sempre li do, e sempre li pago. Ah, bisogna ch’io ascolti le suggestioni del cuore; quando li ho da tenere, mi sento proprio lo spirito che mi brilla nelle mani, e quando hanno a venir secondi, la mano mi trema; da qui avanti mi saprò regolare.

Brighella. Sala che ora è? (toma di nuovo)

Florindo. Ebbene, che ora è?

Brighella. L’è ora de smorzar i lumi, avrir le finestre, e goder el sol.

Florindo. Come? E giorno?

Brighella. Zorno chiaro, chiarissimo.

Florindo. Oh diavolo! Ho passata la notte senza che me ne sia accorto.

Brighella. Mah, quando la va ben, se tira de longo senza abbadar all’ore.

Florindo. Oh maledetta la mia disgrazia!

Brighella. Hala perso?

Florindo. Non ho perso. Ho vinto cinquecento zecchini, ma a che servono?

Brighella. La ghe dise poco?

Florindo. Oh, se tenevo un sette! Maledetto quel sette!

Brighella. (Ecco qua, i zogadori no i se contenta mai. Se i perde i pianze, se i guadagna i se despera, perchè no i ha guadagna tutto quel che i voleva. Oh, che vita infelice l’è quella del zogador!) (da sè) Cossa volela far? Un’altra volta.

Florindo. Oh, in quanto a questo poi, m’impegno che questi giuocatori li voglio spogliar tutti.

Brighella. Lustrissimo patron, no bisogna fidarse tanto della fortuna.

Florindo. La fortuna mi vuol bene; fa a modo mio. Anche l’anno passato averò vinto altri mille zecchini.

Brighella. Lo so benissimo, e la me permetta che diga, che so anca che la i ha spesi presto.