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IL GIUOCATORE 215


acciò noi me li trovasse, ma no so dove metterli. Le scarselle le ho tutte rotte; i perderò. Farò cussì, li metterò per adesso in te le scarpe; e po col tempo li logarò in qualche altro logo. (li va mettendo nelle scarpe, ed in questo mentre Florindo si risveglia; Arlecchino s’intimorisce, e si lascia cadere due zecchini in terra. Prestamente s’alza diritto, per non dar ombra al padrone, e col piede cuopre li due zecchini cadutigli.)

Florindo. Arlecchino, che cosa fai?

Arlecchino. Son qua pronto per servirla. (senza muoversi dal suo posto)

Florindo. Vieni qui; accostati, che ti ho da parlare.

Arlecchino. La parla pur. La comandi che, grazie al cielo, ghe sento anca da lontan.

Florindo. Ma voltati almeno verso di me, ascoltami.

Arlecchino. Son qua, l’ascolto. (si volta un poco, senza levar il piede)

Florindo. Io non ho volontà di alzar la voce. Perchè non ti avvicini qui al mio tavolino?

Arlecchino. Ghe dirò, signor, mi son un omo assae delicato. Gh’è quei denari sul tavolin. Se m’accosto... non vorria mai che se disesse... basta, son un servitor onorato.

Florindo. Eh, lascia queste scioccherie. Accostati, dico.

Arlecchino. In verità, la prego a despensarme; la parla, la comandi, ma no me movo certo.

Florindo. Che pazienza ci vuole con costui! Hai ragione che ho vinto. Se avessi perso, ti bastonerei. M’alzerò io, e verrò da vossignoria gentilissima. (s’alza)

Arlecchino. La me farà una grazia singolarissima.

Florindo. (Accostandosi ad Arlecchino) Vossignoria vada subito alla casa della signora Gandolfa, sorella del signor Pantalone de Bisognosi. Faccia sapere alla signora Rosaura, che io la riverisco, che desidero sapere come sta, e mi porti subito la risposta.

Arlecchino. La sarà servida.

Florindo. Animo, va subito a far quest’ambasciata.

Arlecchino. Adesso anderò. Subito. (si confonde per ragione delli due zecchini, che tiene sotto il piede)