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IL GIUOCATORE 225

Brighella. La se desmissia, che vien el sior Pantalon.

Florindo. Il signor Pantalone?

Brighella. Sior sì, la destriga sta maschera, che intanto procurerò de trattegnirlo. (parte)

Florindo. Presto, non sentite che è qui vostro padre? Ritiratevi in quella camera. (a Beatrice, credendola Rosaura)

Beatrice. (L’indegno non mi conosce). (da sè)

Florindo. Sì, mia cara Rosaura, nascondetevi. Eccolo ch’egli viene.

Beatrice. (Lo seconderò, per meglio rilevare la verità). (la chiude in una camera)

SCENA XIII.

Pantalone e Florindo.

Pantalone. (Ola? Zogo e macchina1? Ho trova un bon zenero). (da sè) Servitor obbligatissimo, mio patron.

Florindo. Riverisco umilmente il signor Pantalone.

Pantalone. Chi la vol trovar, bisogna vegnir al casin.

Florindo. Perchè? Io son qui per accidente.

Pantalone. Xe tre zorni, che a casa soa no i la vede.

Florindo. Sono stato in campagna.

Pantalone. In campagna? A mi me xe sta dito che l’è sta sempre al casin, e che l’ha zogà zorno e notte, e che l’ha vadagnà per disgrazia una bona somma de zecchini.

Florindo. Hanno detto male, non è vero; e poi non so chi sieno questi graziosi che misurano i miei passi, e vogliono entrare ne’ fatti miei.

Pantalone. Zente che ghe vol ben, zente alla qual preme la so reputazion, e ghe despiase che per causa del zogo el se rovina cussì miseramente.

Florindo. Ma io non giuoco più.

Pantalone. La senta, sior Florindo, mi son un omo che parla

  1. «Donna di partito» spiega altrove l’autore: vedi vol. II, p. 491, nota e.