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IL VERO AMICO 311

Trivella. Ma dispiacerà più al signor Lelio...

Florindo. Sì, Lelio è il più caro amico ch’io m’abbia. Per amor suo son venuto a Bologna. A Venezia l’ho tenuto e l’ho trattato in casa mia1 come un fratello, ed a lui ho giurato una perfetta amicizia. Adesso sono in casa sua, vi sono stato quasi un mese e vorrebbe che vi stessi ancora, ma non mi posso più trattenere. Presto, Trivella2, va a ordinare il calesse.

Trivella. Ma aspetti almeno che il signor Lelio ritorni a casa.

Florindo. Non vi è in casa presentemente?3

Trivella. Non vi è.

Florindo. Dove mai sarà?

Trivella. Ho sentito dire che sia andato a far vedere un anello alla signora Rosaura, che ha da essere la sua sposa.

Florindo. (Ah pazienza!) (da sè) Via, non perdiamo tempo. Presto, va alla posta; mezzogiorno sarà poco distante.

Trivella. Oh! vi mancheranno più di tre ore. Se vuole, può andare a trovare4 il signor Lelio in casa della signora Rosaura.

Florindo. Non ho tempo, non mi posso fermare.

Trivella. Per dirla, quella signora le ha fatto delle gran finezze; in verità sembrava innamorata di vossignoria.

Florindo. Oh cielo! Trivella, oh cielo! non mi tormentar d’avvantaggio.

Trivella. Come? Che vuol ella dire?

Florindo. Questo calesse, per carità. (smaniando)

Trivella. Che cosa son queste smanie? Diventa di cento colori. La signora Rosaura le fa risentire i vermini?

Florindo. Via, via, meno ciarle. Quando il padrone comanda, si ha da obbedire5.

Trivella. Perdoni. (con serietà, in atto di partire)

Florindo. Dove vai?

Trivella. A ordinare il calesse. (come sopra)

Florindo. Vieni qui.

Trivella. Eccomi.

  1. Pap.: seco.
  2. Pap. aggiunge: fammi questo piacere.
  3. Pap.: Non vi è in casa?
  4. Zatta: ritrovare.
  5. Pap. aggiunge: e non si fanno tante scene.