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IL VERO AMICO 313


samente. L’amicizia va coltivata con tutta la possibile delicatezza. L’amore va superato colla forza e colla violenza. Ecco la signora Beatrice; voglio dissimular la mia pena, mostrarmi allegro per non far sospettare.

SCENA IV.

Beatrice e detto.

Beatrice. Ben levato il signor Florindo.

Florindo. Servitore umilissimo, signora Beatrice; appunto desiderava di riverirla.

Beatrice. Che cosa avete da comandarmi?

Florindo. Ho da supplicarla di condonare il lungo incomodo che le ho recato, ringraziarla di tutte le finezze che ella s’è degnata di farmi, e pregarla di darmi qualche comando1 per Venezia.

Beatrice. Come? A Venezia? Quando?

Florindo. A momenti; ho mandato a ordinare la posta.

Beatrice. Voi scherzate.

Florindo. In verità ella è così, signora.

Beatrice. Ma perchè questa repentina risoluzione?

Florindo. Una lettera di mio zio mi obbliga a partir immediatamente.

Beatrice. Lo sa mio nipote2?

Florindo. Non gliel’ho detto ancora.

Beatrice. Egli non vi lascerà partire.

Florindo. Spero che non m’impedirà il farlo.3

Beatrice. Se mio nipote4 vi lascia andare, farò io ogni sforzo per trattenervi.

Florindo. Non so che dire. Ella parla in una maniera che non capisco. Per qual ragione mi vuol trattenere?5

Beatrice. Ah! Signor Florindo, non è più tempo di dissimulare. Voi conoscete il mio cuore, voi sapete la mia passione.

  1. Pap.: ordine.
  2. Pap.: mio fratello?
  3. Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. L’impedirà assolutamente. Fior. Un buon amico, come e il signor Lelio, si appagherà della ragione, e non vorrà che per istare a Bologna, precipiti i miei interessi a Venezia.
  4. Pap.: fratello.
  5. Ciò che segue nell’ed. Pap., vedasi in Appendice.