Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, V.djvu/389

Da Wikisource.

IL VERO AMICO 373

SCENA XV.

Florindo ed Ottavio,

Florindo. (Se le volesse bene davvero, non se la passerebbe con questa indifferenza). (da sè)

Ottavio. Orsù, signor Florindo, stendiamo la scritta.

Florindo. Son qui per far tutto quel che volete.

Ottavio. Questo pezzo di carta sarà bastante; ecco come tutte le cose vengono a tempo. (cava quel pezzo di carta, che ha trovato in terra)

Florindo. In quella carta poco vi può capire.

Ottavio. Scriverò minuto. Ci entrerà tutto. Tiriamo in qua il tavolino. L’aria che passa dalle fessure di quella finestra, fa consumar la candela. (tira il tavolino) Sediamo. (scrive) Il signor Florindo degli Ardenti promette di sposare la signora Rosaura Aretusi senza dote, senza alcuna dote, senza alcuna pretensione di dote, rinunziando a qualunque azione e ragione che avesse per la dote, professandosi non aver bisogno di dote e di non volere la dote.

Florindo. (A forza di dote ha empiuto la carta). (da sè)

Ottavio. Item, promette sposarla senz’abiti, senza biancheria, senza nulla, senza nulla, prendendola ed accettandola come è nata. Promettendo inoltre fare una contraddote... Ehi, quanto volete darle di contraddote?

Florindo. Questa contraddote io non l’intendo.

Ottavio. Oh! senza contraddote non facciamo nulla.

Florindo. Via, che cosa pretendereste ch’io le dessi?

Ottavio. Datele seimila scudi.

Florindo. Signor Ottavio, è troppo.

Ottavio. Per quel che sento, anche voi siete avaro.

Florindo. Signor sì, son avaro.

Ottavio. Mia figlia non la voglio maritare con un avaro.

Florindo. Certo fate bene, perchè è figliuola d’un uomo generoso.

Ottavio. Se ne avessi, vedreste s’io sarei generoso. Sono un1

  1. Pap.: Ora sono.