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IL VERO AMICO 375

Florindo. Benissimo; e se mi date licenza, manderò qualche cosa, e si pranzerà in compagnia.

Ottavio. No, no; quel che volete spendere, datelo a me, che provvedere io. Se vado io a comprare, vedrete che bell’uova, che preziosi erbaggi! che buon castrato! Vi farò scialare.

SCENA XVI.

Rosaura, Lelio e detti.

Lelio. Signor Florindo, ecco la vostra sposa.1 Voi siete degno di lei; ella è degna di voi. Confesso che con qualche pena ve la rinuncio, ma son costretto a farlo. Sposatela dunque, ed io per non soffrire maggior tormento, me n’anderò.

Florindo. Fermatevi: dove andate?

Lelio. Vado a disingannare mia zia2, che tuttavia andrà lusingandosi di esser vostra.

Florindo. Poverina, mi fa pietà.

Lelio. Sì, ella3 ed io siamo due persone infelici, che esigono compassione e pietà. (parte)

SCENA XVll.

Florindo, Rosaura e Ottavio.

Florindo. Oh cieli! Come è possibile ch’io possa soffrire il tormento d’un caro amico!

Rosaura. Signor Florindo, parmi tuttavia che siate innamorato più dell’amico che di me.

Florindo. Cara signora Rosaura, anche l’amico mi sta sul cuore.4

Ottavio. Animo, spicciamoci, sottoscriviamo. Il tempo passa, e la candela si consuma.

  1. Segue nell’ed. Pap.: «Fior. Caro amico, provate pena? Provate dolore? Siamo ancora a tempo. Lel. Sposatela, voi siete degno ecc.».
  2. Pap.: sorella.
  3. Pap.: mia sorella.
  4. Segue nell’ed. Pap.: «Ros. Lelio senza dote non può prender moglie; se voi mi abbandonate, sa il cielo che cosa sarà di me. Fior. Questo è quello che mi dà coraggio a sposarla, e fa che il mio amore superi tutte le violenze dell’amicizia. Ott. Animo, spicciamoci ecc.