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cetto drammatico novissimo vieta a un avaro d’essere in scena personaggio episodico e non altro (C. G. ecc., p. 268; ribattè il curioso appunto E. Masi in Scelta ecc. vol. I, p. XXVI).

Perchè la figura del ricco avaro si legasse meglio con l’azione, alla dote di Rosaura è fatta una parte non meno importante che alle sue qualità fisiche o spirituali che fossero. Mentre Florindo s’invaghisce della fanciulla d’un amore disinteressato, Lelio bada solo al proprio interesse. La prende se ricca, senza dote, no. Così cessa ogni vera gara di generosità tra i pretendenti e il trionfo dell’amicizia è solo nel sacrificio che fa del suo amore Florindo. Anzi trionfa solo l’interesse. Mal s’intende perchè Florindo induca Rosaura a nozze senza amore e come essa si presti al sacrificio. Spesso il Goldoni, preoccupato di mostrare quanto possa malvagità o virtù in qualche sua creatura, eccede ogni logica misura. Più bella e più sana la chiusa del Riccoboni, che guida alla felicità chi s’ama. Ma peggio ancora finiva il V. a. nella prima lezione a stampa (V. Appendice; nella primissima redazione che non consta sia a stampa, il protagonista, avverte la premessa nell’ediz. Paper. [IV, p. 168], parlava veneziano), perchè là Florindo sposava, senza amore, la sorella di Lelio e i matrimoni disgraziati erano due. Seguiva il Goldoni così esattamente la chiusa del Fido amico, ch’egli dunque assai probabilmente conobbe quanto la commedia del Riccoboni. Nella lezione presente (di cui le Mem. non tengono conto), il G. ebbe pietà del suo eroe. La lima benefica risparmia anche all’avaro una morte troppo repentina (vedi Appendice) e costringe Florindo a maggior concisione ne’ suoi freddi ragionamenti, onde Rosaura sposi Lelio.

Il V. a., ancora vivo sulle scene nella prima metà del secolo scorso (Costetti. La C. R. S. Milano, 1893, p. 21) è scomparso ormai del tutto dal teatro, né il rimprovero di tale abbandono mosso di recente ai nostri comici (V. Malamani in Ateneo veneto, 1907: num. goldon., p. 41) appare giustificato. Quel Florindo innamorato più dell’amico che di Rosaura (A. II, sc. VII), Rosaura che «da buona ragionatrice più che da innamorata» (Momigliano. Il mondo poetico del G. L’It. moderna, 15 III 1907, p. 481; Brognoligo. Il cavaliere e la dama. Il Rinascimento. Foggia, A. II, vol. 30, p. 146) con impagabile disinvoltura passa da un fidanzato all’altro, la chiusa in lotta aperta col buon senso, non consigliano davvero l’esumazione di questa commedia. Vi scorge si anche il Roux (Hist. d. l. littér. contemporaine en Italie. Pcuis, 1874, p. 25) «de jolis détails», ma causa l’assurdo terz’atto non la riteneva «susceptible d’ètre remise au théàtre». L’a. l’ebbe tra le sue figliole predilette (Mem. l. cit.) e con gli affetti di padre non si discute. L’accolse anche il pubblico con plauso ( «s’ha fatto dell’onor più d’un poco el Vero amigo». Foffano. Due docum. goldon. N. Arch. ven. 1899). e torna certo ad onore di spettatori cresciuti ai lazzi della commedia improvvisa, aver gradito un lavoro che poggia quasi tutto sul giuoco dei sentimenti e tradisce cure innegabili di esecuzione. Ricordano con lode il V. a. altri studiosi del teatro goldoniano, quali il Meneghezzi, che comprende questa tra le commedie classiche (Della vita e delle op. di C. G. Mil. 1827, p. 132); il Carrer, cui sembra «bella e perfetta» (Saggio sulla vita e le op. di C. G. Ven. 1824, I, p. 105); il Pròiss, approvando che l’a. la ritenesse «una delle sue commedie migliori» (Gesch. d. neueren Dramas, I 2, p. 320). Fra le più note e le migliori la