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LA FINTA AMMALATA 471

Beatrice. Oh, voi credete a queste donnicciuole ignoranti! Costoro meriterebbero essere bastonate; s’introducono per le case, danno ad intendere aver dei segreti, e rovinano chi loro crede.

Pantalone. Se pol provar.

Beatrice. Io non vi consiglio fidarvi.

Pantalone. Me xe sta po insegnà un spargirico, che gh’ha dei segreti spaventosi.

Beatrice. Coss’è questo spargirico?

Pantalone. Un omo che fa dei medicamenti che no se trova alle spezierie; un omo che ha vario più zente, che no gh’ho cavei in testa. Son sta a casa soa. Oh se vedessi! El gh’ha dei libri pieni de attestati de zente che l’ha guarìo.

Beatrice. Sarà qualche ciarlatano.

Pantalone. Oh oh, giusto, un zaratan! Nol monta miga in banco. Chi lo vuol, bisogna o andar a casa soa, o mandarlo a levar. Sentì che boccon de omo che l’è: lu no vuol gnente, se la cura no xe fenìa. El fa elo i medicamenti, e ghe basta tre o quattro zecchini, per comprar la roba che ghe va drento.

Beatrice. E con quei tre o quattro zecchini è pagato e strapagato, e se la cura va male, non perde niente.

Pantalone. Mo za, vualtre donne pensè sempre al mal.

Beatrice. Io parlo per vostro bene, e per quello di vostra figlia.

Pantalone. Ve ringrazio del ben che volè a mia fia; ma in casa mia comando mi, e so quel che fazzo.

SCENA IV.

Colombina e detti.

Colombina. Signora Beatrice, la mia padrona vi prega di venire da lei.

Pantalone. Cossa vorla? Cossa xe sta? Gh’ha chiappà mal? Son qua mi, vegno mi.

Colombina. Ora non ha bisogno di voi, vuole la signora Beatrice.

Pantalone. Son so pare, posso andar.

Colombina. Suo padre non può andar sempre, signor no.