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l’Accademia di Venezia Lo speziale del Longhi, uno de’ suoi più deliziosi quadretti? (Rava, P. L. Bergamo, 1909, p. 121; vedi ancora un’incisione di Penzel riprodotta a pag. 755 della Lettura del 1909 in un artic. di A. Finzi: Esculapio e Dulcamara). Il G. stesso fece rivivere la figura nel comicissimo Timoteo del Ventaglio e prima in un dramma per musica (Lo speziale), ancora vegeto in Germania nella musica di Haydn.

Oltre che ignorante, curioso e avido, questo disgraziato Agapito è anche sordo. Balbuzie e sordità son le uniche imperfezioni fisiche che sul teatro destino da secoli ilarità non temperata mai da un’ombra di compassione. Se poi chi è sordo non voglia convenirne, l’effetto comico è di tanto più intenso. Più nuova della sordità è nel nostro speziale la mania delle notizie politiche, della quale è affetto. Nella parte vivissima ch’egli prende alle sorti delle dinastie più esotiche e più lontane, scorge il Masi un po’ di satira di quell’aetas incuriosa di politica che volgeva allora per Venezia (G. e i suoi tempi. Illustr. ital. 3 febbr. 1884), come se il disinteressarsi dagli avvenimenti d’Europa bastasse a tener lontano dalla Repubblica qualsiasi pericolo. Anche senza questo, Agapito ha tanta forza comica in sè da reggere sulle sue spalle tutto il lavoro. Sarà giusto che delle prime accoglienze liete decise, forse, l’arte squisita di Teodora Medebac (Mem. l. cit.), ma chi ebbe a succederle nella parte di Rosaura non trovò più né il suo brio, né la sua grazia, o la sorgente di sano riso e schietto ch’è nel personaggio d’Agapito soverchiò a grado a grado ogni altro elemento comico del lavoro. In tutti i modi la F. a. piacque assai. Se il noto Complimento di Rosaura, tanto citato in queste Note, alla domanda «El Spezier com’ela andada?» risponde «Che commedia sfortunada!» l’s privativa sarà una svista dell’amanuense [corregge senz’altro il Malamani in fortunada] o il poeta, discorrendo a chi sapeva il vero, scherzava. Riprese fortunate della F. a. si possono seguire in giornali e in monografie di storia teatrale fin oltre la metà del secolo scorso. Del 1839 entra nel repertorio della Reale Sarda (Costetti, p. 120) e a Modena si recita ancora il 22 nov. del 1857 (Tardini. La drammatica nel Tea. Comunale di Modena. Mod. 1898, p. 1 04). Più tardi Agapito e la sua bottega stentano sempre più a tenere a galla l’episodio centrale un po’ stantio. Non la trascurano però i filodrammatici (Prinzivalli. Accademia filodrammatica romana. Terni. 1880, p. 215 [rec. del 1880]) né le Scuole di recitazione (quella di Firenze l’esegui come prima prova di studio dell’anno scolastico 1884-85). In giorni a noi più vicini Ermete Novelli (1885?) e Ferruccio Benini (dic. 1903, Trieste) ridestano a breve vita l’antica commedia che per un poco ride ancora, vecchietta arzilla, in mezzo ai cernecchi argentei che fanno corona alle fresche gote.

Questa commedia venne anche imitata, ma con le modificazioni richieste dai tempi mutati, che alla satira dei medici più non consentivano le forme buffonesche, nè alla favola della finta ammalata la veste tradizionale. Seguì assai liberamente le orme goldoniane l’Albergati nelle Convulsioni, la migliore e la più importante delle sue commedie (Masi, La vita, i tempi, gli amici di F. A. Bol. 1888, pp. 368-372), e qualche ricordo della F. a. s’avverte nel teatro di Gian Gherardo De’ Rossi e in quello del Nota. Il dottor Verazio nelle Sorelle rivali del primo e De Fulvidio nell’Ammalato per imaginazione dell’altro (cfr. gli studi cit. del Toldo [p. 261] e del Baumann [p. 518]) sono