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132 ATTO PRIMO


in casa di cui è stata alloggiata in questi sei mesi, ed ella ci dirà il vero.

Beatrice. Sì, mandatela a chiamare, ne avrò piacere. (Vo’ sapere come Florindo si è innamorato). (da se)

Ottavio. Oh, chi l’avesse mai detto, che quella giovane che mostrava esser sì buona, fosse per cadere in simile debolezza? Signora consorte, ecco che cosa siete voi altre donne, (parte)

Beatrice. Che cosa siam noi? Niente meno degli uomini. Soggette siamo noi pure alle umane passioni, e queste qualche volta ci trasportano, ci violentano. Io che sospirava il momento di questa lunga villeggiatura, unicamente per il piacere di conversar con Florindo, vengo e lo trovo acceso d’amore, in atto di dar la mano di sposo, e ho da soffrirlo placidamente? Non ho da scuotermi? Non ho da dolermi? Eh, sarei stupida se lo facessi. Florindo è un mal creato, ed io lo tratto com’egli merita, quando deludendo le sue speranze, mi vendico col suo dolore. Pensai di fargli sparir l’amata; ma il caso l’ha in braccio condotta del suo rivale. Ciò mi giova assai più; poichè vengo ad ottenere il mio intento, senza il pericolo di essere in me scoperta la cagione della sua fuga. Chi prende impegno con una donna, ci pensi bene, poichè o non gli riesce poi ritirarsi, volendo, o se lo fa con violenza, non è sicuro della femminile vendetta. (parte)

SCENA XIX.

Camera d’osteria.

Lelio e Rosaura.

Lelio. Via, non piangete. Siete con un galantuomo, con un uomo che vi vorrà sempre bene.

Rosaura. Sono con uno che mi vuol morta.

Lelio. No, cara, vi voglio viva, e non morta.

Rosaura. Ditemi, per pietà, dove siamo?

Lelio. Oh sì, in questo vi appagherò. Noi siamo in una camera dell’osteria della posta.