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L'INCOGNITA 155

Ottavio. E vi son io, che stanco di più soffrirvi, vi dico che ve ne andiate.

Lelio. Signor Ottavio, andiamo colle buone.

Ottavio. Giuro al cielo! Vi credereste di farmi una soverchieria?

Lelio. Non vi assicuro della mia collera.

Ottavio. Temerario! Chi è di là?

Lelio. Chi entrerà in questa porta, passerà per la punta di questa spada. (pone mano alla spada)

SCENA XII.

Pantalone ed i suddetti.

Pantalone. Mi passerò per sta porta, e no gh’averò paura della to spada.

Lelio. Ah, vi ho detto che non vi arrischiate a venire.

Pantalone. Cossa voressistu dir, tocco de desgrazià? (si lancia alla vita di Lelio e gli leva la spada) Sibben che son vecchio, gh’ho ancora forza per desarmarte, gh’ho ancora coraggio per castigarte. Sta spada ti meriteressi che te la cazzasse in tel cuor; ma per quanto un fio sia perfido e scellerato, el pare no ha da esser nè giudice, nè carnefice del proprio sangue. Mi te sparagno la vita; ma voggia el cielo che no la sia destinada a esser spettacolo ai occhi dei malviventi, e rossor e tormento e morte al povero Pantalon. Spada infame, spada indegna, che no ti xe stada mai impugnada per azion onorate, ma solamente per prepotenze, per iniquità: sì, te vôi scavezzar. (rompe la spada di Lelio) Cussì podessio romper i brazzi a quel desgrazià, che te portava in centura. Sior Ottavio, la me perdona. Son fora de mi. Sto fio me orba, el me fa dar in furor. La compatissa un povero pare, che dopo aver sparso tanti suori, xe in necessità de sparzer altrettante lagreme per un fio desgrazià. Furbazzo, ti sarà contento. Varda el to povero pare pianzer co fa un putello. No me posso più contegnir; la passion m’ha tolto la man, e prego el cielo che me toga presto la vita.