Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/166

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156 ATTO PRIMO

Lelio. (Finalmente è mio padre, e m’intenerisce). (da sè)

Ottavio. Via, signor Pantalone, acquietatevi. Se vostro figlio degenera dai vostri onesti costumi, il mondo si fa giustizia e si sa che siete un uomo d’onore.

Pantalone. Ah, sior Ottavio, l’amor del pare xe grando, e quanto xe più grando l’amor, tanto più cresse el tormento de vèderse cussì mal corrisposto.

Ottavio. Vergognatevi, giovane scapestrato, indegno d’un sì buon padre. (a Lelio)

Lelio. Voi m’insultate, perchè non ho la mia spada, ma giuro al cielo, non mi crediate già disarmato. (ad Ottavio)

Pantalone. Come! Ancora arme ti gh’ha? Ancora arme? Vien qua, desgrazià; se ti gh’ha arme, tirele fora. (Sior Ottavio, no la vaga via).

Lelio. Per carità, lasciatemi stare. (a Pantalone)

Pantalone. Mi no te lasso più star. Co ti gh’ha arme, fora arme.

Lelio. Io non ho niente.

Pantalone. No te credo, no me fido. Tocco de sassin, fora arme. (Sior Ottavio, la staga qua).

Lelio. Vi dico che non ho armi.

Pantalone. Sì, che ti gh’ha delle arme. Lassa veder. (s’avventa a Lelio, e cade)

Lelio. Lasciatemi stare.

Pantalone. Son qua, son ai to piè, mi no me levo e ti no ti scampi, se no ti me dà le arme che ti gh’ha in scarsella. (Sior Ottavio).

Lelio. (Non mi sono ritrovato più in un caso simile). (da sè)

Pantalone. Via, hastu resolto? Vustu che me butta colla bocca per terra? No sperar che me leva, no sperar che te lassa.

Lelio. (Non posso più; mi libererò dalla seccatura e non mi mancheranno altre armi). (da sè) Eccovi le mie pistole, eccovi il mio stile; che volete di più? Eccomi disarmato. Fate ora venire i birri, fatemi prendere, fatemi legare. Avrà il padre la gloria di aver sagrificato il suo figlio.