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166 ATTO TERZO


altro, che la costringe a salire in un calesse e partire senza sapere per qual parte del mondo. Gran cose! Incontra l’amante fra la sbirraglia, balza dal calesse, e vien condotta prigione. Di là la libera Ottavio, trova il padre ed una cugina, e nel mentre si crede felice, le propongono un matrimonio che la rende misera e sconsolata. Risolve seguire il padre, l’amante giunge, piangono, si tormentano, e in questo mentre ecco Lelio, che la rapisce la terza volta. Oh Dio! Dove l’avrà egli condotta? Secondo quel che mi hanno detto i villani, si avviarono gli scellerati alla volta di questo bosco. Può darsi che non fidandosi Lelio di altro ricovero, qui destini celarla sino all’alba novella. Almeno li riscontrassi. Farmi di sentir gente. Cresce il calpestio. Oimè! Sono in truppa. Sento piangere, sento gridare, principia a tremarmi il cuore. La curiosità cede il luogo al timore. Oh Dio! Eccoli. Mi celerò entro questa capanna. (entra nella capanna)

SCENA II.

Lelio armato, Rosaura e vari armati.

Lelio. Custodite i passi, e alcuno di voi s’aggiri d’intorno al bosco, per essere di qualche sorpresa opportunamente avvisati. (tre armati partono)

Rosaura. Oh Dei! Che cosa sarà di me?

Lelio. Via, cara, non piangete. Accomodate l’animo vostro ad incontrar quel destino, che vi viene dalla sorte esibito. Io non intendo oltraggiar l’onor vostro: vi bramo mia sposa, e tal vi prego di essere.

Rosaura. Quai luoghi indegni e fatali scegliete 1 voi per le nozze? Prima un pubblico albergo, ed ora un bosco?

Lelio. Se foste stata meco meno severa, vi avrei data la mano in casa di Colombina; ma poichè voi mi costringete a rapire

  1. Così Paper.; Zatta: scieglieste.