Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/182

Da Wikisource.
172 ATTO TERZO

Arlecchino. Giusto adess, vegnindo in qua, l’ho visto a scuro e l’ho cognossù, che l’avriva la porta della so casa.

Beatrice. Ed egli non ha veduto te?

Arlecchino. No l’ha visto nè mi, nè Rosaura che era con mi.

Beatrice. Ma come Rosaura è teco?

Arlecchino. L’ho trovada per la strada.

Beatrice. Io ti ho mandato a ricercare Florindo; l’hai forse ritrovata verso la di lui casa?

Arlecchino. Siora sì, verso la di lui casa.

Beatrice. Voleva ella ricoverarsi colà?

Arlecchino. Giusto colà.

Beatrice. (È giunta a tempo nelle mie mani) (da sè) Dunque Lelio è in casa?

Arlecchino. L’ho visto mi.

Beatrice. L’hai veduto solo?

Arlecchino. L’era solo. In lontan gh’era dell’altra zente, ma no credo che i fusse con lu.

Beatrice. Fa che entri Rosaura... Tu non partire dall’anticamera, che avrò bisogno di te.

Arlecchino. Non occorr’altro. (Se sfadiga assai e se magna poco. Se no m’inzegnasse fora via, poveromo mi). (da sè, parte)

Beatrice. Costei mi somministra un’occasione opportuna per vendicarmi di Florindo.

SCENA XI.

Rosaura e la suddetta.

Rosaura. (Oimè! In luogo del marito trovo la moglie! ) (da sè)

Beatrice. Accostatevi, Rosaura mia, e non temete. Finalmente ho scoperto che siete una saggia ed onesta giovine, ho risaputo l’esser vostro, ho pietà delle vostre disavventure, e sono disposta a far tutto per rendervi consolata.

Rosaura. Signora, il cielo rimuneri la vostra pietà. Ma ditemi, se il ciel vi salvi, dov’è mio padre?