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L'AVVENTURIERE ONORATO 207

Aurora. Che dite della vedovella che or ora andremo a ritrovare? Vi piace?

Guglielmo. Per dir il vero, ella non mi dispiace.

Aurora. Pare giovinetta, ma non lo è poi tanto; nessuno1 sa quant’anni ell’abbia, meglio di me.

Guglielmo. Lo credo benissimo.

Aurora. Qui da noi passa per una bellezza; eppure non vi sono questi miracoli.

Guglielmo. Oh! non si può dire ch’ella non abbia il suo merito.

Aurora. Sapete che cosa ha di buono? È ricca.

Guglielmo. Non è poco. Quando una donna è ricca, pare bella se anche non è, e tutti le corron dietro.

Aurora. Signor Guglielmo, sareste anche voi uno di quelli che le correrebbero dietro per la ricchezza?

Guglielmo. Io non sono nel caso, signora mia: perchè per isposarla no certo, essendo con un’altra impegnato, per mangiarle qualche cosa nemmeno, perchè in queste cose sono delicatissimo.

Aurora. Non vi consiglierei che vi attaccaste con donna Livia. Ella è pretesa dai primi soggetti di questa città: dal marchese d’Osimo, dal conte di Brano, e che so io. Avreste degli impegni non pochi.

Guglielmo. Conti e marchesi? Che figura vorrebbe ella che facesse fra questi gran signori un povero disgraziato?

Aurora. Per altro, circa alla condizione, ci potreste stare anche voi.

Guglielmo. Per grazia del cielo, son nato anch’io galantuomo.

Aurora. Ma siete proprio di Venezia?

Guglielmo. Sì, signora, e me ne glorio; e spero che le mie disgrazie non mi renderanno mai indegno di nominar la mia patria.

Aurora. Orsù, io vado a dare alcuni ordini. Allestitevi per uscire, che andremo insieme da donna Livia. Via, state allegro; non pensate a disgrazie; siete in casa di buoni amici; non vi mancherà nulla; e se avete bisogno, disponete e comandate con libertà. (parte)

  1. Pap.: sapete, nessuno.