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L'AVVENTURIERE ONORATO 211

Guglielmo. (Io ci scommetterei che questo denaro viene da donna Livia).1 (a sè)

Livia. E bene, signor Guglielmo, come vi piace questa nostra città?

Guglielmo. Mi piace assaissimo; ma tanto non mi piace la città, quanto i bei mobili che ci sono.

Livia. E dove sono questi bei mobili?

Guglielmo. I mobili più preziosi di questa città sono in questa camera.

Livia. Queste tappezzerie non sono sì rare, che possano attrarre le vostre ammirazioni.

Guglielmo. Eh signora, c’è altro che tappezzerie? Ciò che adorna questa camera e questa città, sono due begli occhi, una bella bocca, un bel viso, un trattar nobile, una maniera che incanta.

Aurora. Oh via, signor Guglielmo, non principiate a burlare; qui non ci sono le belle cose che dite.

Livia. (Sto a veder ch’ella creda, ch’egli intenda parlar di lei), (da sè) Per altro in questa città ci stareste voi volentieri? (a Guglielmo)

Guglielmo. Sì, signora, ci starei volentieri.2

Livia. Sarebbe bene, se voleste rimanere in Palermo, che aveste un impiego.

Aurora. Dite, amica, che impiego credereste voi adattato per il signor Guglielmo?

Livia. Col tempo potrebbe aver qualche cosa di buono; frattanto, per non istare in ozio, per aver una ragione presso il pubblico di trattenersi, potrebbe fare il maestro di scuola.

Guglielmo. (Oh diamine, che cosa sento!) (da sè)

Aurora. Il maestro di scuola!

Livia. Signor Guglielmo, non l’avete voi esercitato in Messina? Il mio paggio è stato alla vostra scuola.

Guglielmo. Le dirò: è vero, non lo posso negare. A Messina ho dovuto insegnar l’abbici. Sappiano, signore mie, che partito

  1. Paper, ha invece: (Dove, Domine, ritrova cotante doppie!)
  2. Segue nell’ed. Pap.: «Gugl. Sì Signora, ci starei volentieri. Aur. La mia casa sarà sempre a vostra disposizione. Liv. (E non ha da mangiar per lei), da sè. Sarebbe bene, se voleste rimanere in Palermo, che aveste un impiego. Gugl. Certamente ci starei allora più volentieri. Aur. Dite, amica ecc.».