Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/294

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Aurora. Gran disgrazia aver da esser sempre fra le miserie. Un Cittadino che non ha impiego, e non ha grandi entrate, passa magramente i suoi giorni. Mi dispiace per il signor Guglielmo, per quel Veneziano che abbiamo in casa. Io lo vedo assai volentieri, e non vorrei se ne andasse. Ma vediamo chi è che mi scrive questo viglietto. (apre) Ah sì, è D. Livia. Questa è una donna fortunata. Nacque mercantessa, ed è prossima ad esser dama. È giovine, è ricca, è bella, e quel che più stimo, è vedova, e gode tutta la sua libertà.


 Amica carissima. Le gentili maniere del signor Guglielmo dimostrano esser egli un uomo civile ed onesto.


Ah, ah, la vedovina è rimasta colta dal Veneziano. Viene in casa mia col pretesto di veder me, e lo fa per il forastiere. Che cara D. Livia!


 L’indigenze nelle quali egli si trova, mi hanno mossa a pietà di lui. Mi pare un’impertinenza. Onde mi sono presa la libertà di fargli tenere venti doppie, acciò provveda alle sue presenti occorrenze.


Ma ella è ricca, e lo può fare; io non lo posso fare; però mandar denari ad una persona ch’è in casa mia, è un affronto gravissimo ch’ella mi fa.


 Io non voglio che il signor Guglielmo sappia che il sovvenimento venga dalle mie mani; onde manderò fra poco un mio servitore colle venti doppie, il quale a voi le consegnerà. E voi le darete al forastiere, e vi lascio in libertà di dire che siete voi medesima che gliele somministra.


Se così è la cosa, non va male. Questo è un affronto che si puol tollerare. Mi pare ancora impossibile ch’ella mi mandi questo denaro. Sarebbe una femmina troppo generosa. Ma ecco mio marito.