Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/297

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Filiberto. Ecco ch’egli viene.

Aurora. Tenete queste dieci doppie, e a lui non dite nulla. Egli non ha da sapere che voi le abbiate avute.

Filiberto. Sì, sì, ringraziatelo voi, e dite che non mi avete detto cosa alcuna; ch’io non bado a queste piccole cose. Vediamo di riuscirne con onore, se mai si può. Ma subito ch’egli è andato via, anderemo a stare un anno in campagna, per rimediare alle spese che abbiamo fatte. (via)

Aurora. A tempo giunte sono le venti doppie. Se D. Livia mi lascia in libertà di disporre, posso impiegarne dieci per acquietar mio marito, e ciò facendo, tornano anch’esse in profìtto di quello a cui erano indirizzate.

SCENA V.

Guglielmo in codegugno e detta.

Guglielmo. Servitor umilissimo, siora D. Aurora.

Aurora. Serva, signor Guglielmo. Che vuol dire mi parete sospeso?

Guglielmo. Per dirghela, batto un poco la luna.

Aurora. Che cosa avete, che vi frastorna?

Guglielmo. No vedo lettere, el tempo passa, e prencipio a straccarme d’esser sempre desfortunà.

Aurora. Via, abbiate pazienza. Seguite a tollerar di buon animo le vostre disavventure. Alla fine la sorte s’ha da cambiare, ed ha da farvi quella giustizia che meritate.

Guglielmo. Ma non son più in caso de deferir, bisogna che fazza qualche resoluzion.

Aurora. Siete annoiato di stare in questa casa?

Guglielmo. Un omo onorato, come professo d’esser mi, a longo andar bisogna che el s’arrossissa, dando un incomodo de sta sorte a una casa che lo favorisse con tante bontà.

Aurora. Queste sono inutili cerimonie. Servitevi, che siete padrone, e quanto più state in casa nostra, tanto più ci prolungate il piacere.

Guglielmo. Cognosso che no merito tante grazie. In tel caso