Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/306

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cesso de una certa putta, son tornà a Napoli, e ho abbandonà la medesina, che per quattro mesi continui m’ha fatto passar a Gaeta per l’Eccellentissimo Signor Guglielmo.

Aurora. Bravissimo, lodo il vostro spirito.

Livia. Signor Guglielmo, io patisco qualche incomodo, mi prevalerò della vostra virtù.

Guglielmo. Pol esser che gh’abbia per ela un medicamento che la varissa.

Aurora. Siete in casa mia, avete prima da operare per me. De’ mali ne patisco anch’io.

Guglielmo. No le se dubita, le varirò tutte do.

Conte. Ditemi: perchè avete lasciata la medicina? Siete forse poco persuaso di una tal professione?

Guglielmo. Anzi la venero e la rispetto.

Conte. Eppure ci sarebbe molto che dire...

Guglielmo. No, sior Conte, la me perdona, dei medici no disemo mal, perchè se disemo mal dei cattivi, se n’ha per mal anca i boni.

SCENA XII.

Cameriere e detti

Cameriere. Signora, il signor marchese d’Osimo.

Conte. (Ecco un mio rivale).

Livia. È padrone. (Mi secca).

Guglielmo. (Adessadesso vien qualche prencipe!)

Cameriere. Signore, servitor suo. (mettendo una sedia)

Guglielmo. Ve saluto.

Cameriere. Non mi conosce più!

Guglielmo. Me par e no me par.

Cameriere. Non si ricorda a Roma, che abbiamo servito assieme?

Aurora. (Oh diavolo!)

Livia. (Cosa sento?)

Guglielmo. Servio? In che maniera?

Cameriere. Sì signore, io ero cameriere, e V. S. era segretario.