Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/347

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Guglielmo. Sì, ve veggio ben; ma dìesemille scudi d’intrada?

Eleonora. Ah sì; l’interesse vi accieca. Voi m’abbandonate. Voi mi tradite.

Guglielmo. No, no v’abbandono, no ve tradisso. Son qua, ve sposo in sto momento, se lo volè, e ve fazzo veder in sto ponto, per mantegnir la mia parola, rinunziar diesemille scudi d’intrada.

Eleonora. Ed io avrei cuore di privarvi d’un sì gran bene?

Guglielmo. Qua mo no so cossa dir; mi co digo de sposarve, fazzo el mio debito. Se ve par a vu de precipitarme, tocca a vu a remediarghe.

Eleonora. Sì, vi rimedierò.

Guglielmo. Via mo, come?

Eleonora. Mi ucciderò.

Guglielmo. Vedeu? Queste xe frascherie. Co parlemo de morir, sposemose, e la xe fenia.

Eleonora. Ah, se mi sposate, avrete sempre a rimproverarmi la dote perduta.

Guglielmo. Ve dirò. Qualcossa poi esser che me scampa de bocca. Bisognerà che me compatì.

Eleonora. Dunque sposate pure donna Livia.

Guglielmo. E vu?

Eleonora. E di me non pensate.

Guglielmo. Sentì, con siemille ducati e l’assistenza de donna Livia troverè da logarve.

Eleonora. Ah perfido! ah scellerato! Vedo che voi mi odiate; vedo che con piacere mi abbandonate.

Guglielmo. Ve odio? Ve abbandono? Son qua, deme la man.

Eleonora. La mano?

Guglielmo. Sì, demela, e la xe fenia.

Eleonora. E poi?

Guglielmo. E pò, schiavo.

Eleonora. E i diecimille scudi di rendita?

Guglielmo. Bon viazo; magneremo colle rendite del matrimonio.

Eleonora. Signor Guglielmo, io vi amo più di quello che voi credete, e non ho core di rovinarvi.