Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/42

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32 ATTO PRIMO

Eularia. Eh signori, che maniera di parlare è questa? Con chi credete voi di discorrere? Le dame si servono, ma si rispettano; dirò meglio, si favoriscono, e non si oltraggiano. Una dama che ha il suo marito, non può ammettere niente di più, oltre una discreta, onesta e nobile servitù. Il mondo presente accorda che possa essere una moglie onesta servita più da un che dall’altro, ma non presume che il servente aspiri all’acquisto del cuore. Io farei volentieri di meno di questa critica accostumanza, e mi augurerei aver un marito geloso, il quale me la vietasse. Ma don Roberto è cavaliere che sa vivere e sa conversare. Soffre volentieri che due amici suoi favoriscano la di lui moglie, ma non gli cade in pensiero che si abbiano a piccare di preferenza, in una cosa che non deve oltrepassare i limiti della cavalleria. Se a me riesce scoprire qualche cosa di più, saprò regolarmi, signori miei, saprò regolarmi, e per evitare l’avanzamento delle vostre ridicole pretensioni, troverò la maniera di congedarvi, senza disturbare la pace di mio marito. Mi può mancare il talento e lo spirito per comparir disinvolta in una conversazione, ma non la necessaria prudenza per tutelare il decoro della mia famiglia, e far pentire chi che sia d’aver temerariamente giudicato di me.

Conte. Signora, io non so d’avermi meritato un sì pungente rimprovero.

Eularia. Lo applichi a se stesso chi più lo merita.

Marchese. Via, via, lo merito io, ma non abbiate pena di ciò. Perchè non abbiano a molestarvi le nostre gare, sarò pronto a cedere e a ritirarmi.

SCENA VIII.

Don Roberto e detti.

Roberto. Eccomi di ritorno.

Eularia. Avete fatto benissimo. Questi cavalieri vogliono partire...

Marchese. Sì, io parto, ma non il Conte.

Roberto. (Il Conte resta? Per qual motivo?) (da sè)