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410 ATTO TERZO

Diana. Questo mi terrà caldo.

Pantalone. Varda mo, sto scarlatto!

Diana. Oh bello! Per i giorni di festa. Oh bello!

Anselmo. (Oh, che tu sia benedetta!) (da sè)

Pantalone. Ste calze te piasele?

Diana. Oh, se fossero tutte mie!

Anselmo. (Le piace tutto). (da sè)

Pantalone. Oe, oe, varda sto zoggielo: antighetto, ma bon.

Diana. Oh bello, oh bello! È mio, è mio. Lo voglio io, lo voglio io.

Anselmo. (Oh, che adorabile semplicità!) (da sè)

Pantalone. Varda mo st’altra zoggia. (le mostra Anselmo)

Diana. Qual gioja?

Pantalone. Questa. Sto boccon de zoggia. (parlando di Anselmo)

Diana. Via, mi burlate.

Pantalone. No hastu dito che ti lo torressi per sposo?

Diana. Sì, l’ho detto. (rìdendo)

Pantalone. Eccolo qua, se ti lo vol...

Anselmo. Se mi volete, son vostro.

Diana. E la gioja?

Pantalone. La zoggia, el xe elo.

Diana. Egli è la gioja? Oh, questa sì che è da ridere. E una gioja tanto grande, che mi fa spavento.

Pantalone. Orsù, cossa diseu, sior Anselmo? Ve piasela sta putta?

Anselmo. Io ne sono innamoratissimo.

Pantalone. Se la volè, la xe vostra.

Diana. Come sua? Io son vostra; mi avete forse venduta? (a Pantalone)

Pantalone. Sì, t’ho vendù a sior Anselmo.

Diana. E quanto vi ha dato?

Pantalone. Sentiu che innocenza? (ad Anselmo)

Anselmo. Per le nostre montagne è un capo d’opera.

Pantalone. Andemo a far do righe de scrittura.

Anselmo. Andiamo pure; sono con voi.

Pantalone. Diana, quella roba xe toa. (parte)

Anselmo. Sì, quella roba è vostra, e anche questa gioja. (parte)

Diana. Quella non è gioja da portare al collo. (parte con Tiritofolo)