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amorosa, - La gaia Locandlera, e la sì deliziosa - Pamela ecc.» cod. Cicogna 2395 cit., e. 44). Qualcheduno, come il citato Verri, vi ammirò specialmente l’arte della Marliani. (Nello stesso poemetto si legge più sopra: «Esser può in prosa ancora una Commedia vera; - E fra le tue più elette conto la Locandiera - Là, ve specchiar si ponno i severi arroganti - Che insultan gl’infelici e malaccorti amanti ecc.»). I più si spaventarono per ragione della morale (p. es. l’estensore della Storia lett.ia d’It., vol. VIII, Modena, i755, p. 20: «... Benchè a leggerla non compaja meno che onesta, sul palco avvivata dall’azione non può non dispiacere a chi dal teatro vorrebbe a ragione levato ogni abuso contrario al buon costume» ); condannarono la commedia che offendeva il canone più sacro della scuola del teatro, e costrinsero Goldoni a difendere in questo modo la propria audacia, nella prefazione in testa alla stampa, fattasi a breve distanza dalla recita: «Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire esser questa la più morale, la più utile, la più istruttiva».

A Parigi, nel 1764, l’autore ne cavò un canovaccio da recitarsi sul Teatro Italiano, col titolo di Camilla locandiera (Camille aubergiste, 1 maggio ’64: V. lett. dei 2 febbr. al march. Albergati, in Lettere di C. G. per cura di E. Masi, Boi. 1880; e Maddalena, La fortuna della Loc. ecc., estr. dalla Rivista d’It. nov. 1907, p. 722), ma con esito infelice, forse per colpa della riduzione (Grimm, 1. c.). A Roma fu presto conosciuto l’originale, nel 1754 (Cametti, Critiche e satire teatrali ecc., estr. dalla Riv. Music. Ital. 1902, p. 5); a Modena s’incontra tardi, nel ’73 (Modena a C. G., 1907, p. 240). Del resto solo interrottamente possiamo seguire le rappresentazioni di commedie goldoniane nel Settecento: ma è certo che la Locandiera risalì di rado sulle scene a Venezia e fuori. Leggo nel n. 22 del Diario Veneto, 22 genn. 1765: Teatro di S. Samuele, «Si recita il Cavaliere di Ripafratta o. sia il Marchese di Forlipopoli. Commedia bellissima e tutta da ridere». È merito delle compagnie comiche veneziane dell’estremo Settecento di aver ricondotto alla luce questo capolavoro, il quale doveva poi avviarsi al giro glorioso per tutta Europa: col suo vero titolo, o con quello appiccicato (Gli amanti in locanda. Li tre amanti in locanda. Li tre rivali in locanda), lo ritroviamo più volte sui teatri di S. Gio. Crisostomo (Teatro Civico nel 1797) e di S. Luca, tra il 1796 e il 1801, per opera delle compagnie Battaglia, Perelli, Goldoni, Bianchi (v. Giorn. dei teatri di Ven.); e nel 1803 a S. Benedetto (I quattro amanti in locanda), a S. Luca, a S. Gio. Crisostomo, compagnie Venier-Asprucci, Battistini-Scovazzo e Fabbrichesi-Gnocola (v. Giornaletto teatrale). Ma nell’Ottocento le recite nelle principali città d’Italia, da Torino a Napoli, non si contano più.

Intanto a Parigi nel 1791 applaudivasi una raffazzonatura in versi francesi (La Jeune hótesse) di Carbon Flins des Oliviers, che tornò infinite volte sul teatro, e che trent’anni dopo generò in Germania altre fortunate Locandiere tedesche, famosissima fra tutte la Mirandolina di Carlo Blum (Berlino, 1828), tradotta pure a Varsavia nel ’34. (V. preziose notizie in Maddalena, La fortuna della Loc. fuori d’It., cit.). - Finalmente nel 1830 Carolina Internari, alunna di Annetta Pellandi, recitava a Parigi nel testo originale il capolavoro di Goldoni: e precedeva di 26 anni il trionfo nelle capitali d’Austria, di Francia e d’Inghilterra, di Adelaide Ristori (segnato da tre fedeli versioni: