Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/445

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IL CONTRATTEMPO 431

Rosaura. E poi... sì, ora me ne ricordo. Mi ha detto dei teatri, dei festini. Oh, le signore zie non mi cuccano.

Pantalone. (Alo mo fatto una bella cossa?) (da sè) Mi no so cossa dir. Co to àmie mi non ho dito de volerle metter per forza; se ti ghe vol andar, vaghe, se ti vol star in casa, staghe, e se ti te vol maridar, co capiterà l’occasion, te contenterò.

Rosaura. Oh non mi basta, signor padre.

Pantalone. Cossa vorressistu de più?

Rosaura. Lo sposo lo voglio presto.

Pantalone. E cossa vustu che mi te fazza?

Rosaura. Trovatene uno.

Pantalone. Dove vustu che el trova?

Rosaura. Compratelo.

Pantalone. Via, gnocca. I marii se compra?

Rosaura. Io non so come si faccia. Verrà il signor Ottavio.

Pantalone. E se vegnirà el sior Ottavio, l’anderà via per l’istessa strada che el vien; e vu, siora, coi omeni no ve n’avè da impazzar. Perchè no ve divertìu colla piavola?

Rosaura. La bambola non parla, non si muove. È meglio uno sposo. Me l’ha detto anche il signor Ottavio.

Pantalone. Maledetto sia el sior Ottavio.

SCENA XVII.

Florindo di dentro e detti.

Florindo. O di casa. Vi è nessuno? (di dentro)

Pantalone. Vien zente. Presto, andè via de qua. (a Rosaura)

Rosaura. Oh, questo lo conosco.

Pantalone. Come lo cognosseu?

Rosaura. Ogni volta che mi vede, mi saluta.

Florindo. Si può venire? (di dentro)

Pantalone. Adess’adesso. (a Florindo) Animo; andè via, ve digo. (a Rosaura)

Rosaura. E una volta mi voleva dare...

Pantalone. Cossa ve volevelo dar?