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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/60

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50 ATTO SECONDO

SCENA II.

Il Dottor Malazucca e detti.

Dottore. Oh padrone mio, ho piacere di rivederla.

Lelio. Servitor devotissimo, signor Dottore.

Dottore. Mi sono scordato, due ore sono, quando ella mi ha graziato, di domandarle il suo nome, cognome e patria.

Lelio. Ha forse da comandarmi qualch’altra cosa?

Dottore. No, signore, ma quando ricevo qualche finezza, ho piacere di aver memoria di chi mi ha favorito.

Lelio. (Questa mi pare una stravaganza). (da sè)

Dottore. Favorisca dirmi il suo nome. Lo metterò nel mio taccuino.

Lelio. Ma io non intendo ch’ella abbia meco alcuna obbligazione.

Dottore. So il mio dovere; la prego. (col taccuino in mano, e penna)

Lelio. (Eppure non me ne fido). (da sè)

Dottore. Il suo nome?

Lelio. Fabrizio.

Dottore. (Scrive) Il cognome?

Lelio. Malmenati.

Dottore. Il paese? (scrivendo nel taccuino)

Lelio. Fossambruno.

Dottore. Signor Fabrizio Malmenati di Fossambruno, mi faccia restituire i duemila ducati che mi ha carpiti il signor Giacinto, o vossignoria sarà chiamato in giudizio, come mezzano di una potentissima1 truffa.

Lelio. (Il diavolo me l’ha detto). (da sè) Che dite di truffa?

Dottore. Sì signore, il signor Giacinto mi ha truffato, e voi siete d’accordo.

Lelio. Io? mi maraviglio di voi. Sono un uomo d’onore, il signor Giacinto è un mercante onorato.

Dottore. Che mercante? È un fallito, è pieno di debiti, non ha più un soldo di capitale. Giuoca da disperato, e ora in questo punto che noi parliamo, è in una biscazza a perdere i poveri miei denari che mi costano tanti sudori, che ho fatte tante vigilie

  1. Pap.: patentissima.