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288 ATTO SECONDO

Pantalone. (Oh poveretto mi! Adesso stago fresco). (da sè) La me permetta che prima parla col Quartier-Mastro...

Garzia. Mostratemi prima l’appartamento, e poi parlate con chi volete.

Pantalone. L’appartamento xe serrà.

Garzia. Apritelo.

Pantalone. (No so come liberarme). (da sè) Le chiave le gh’ha sior alfier.

Garzia. (Questo vecchio non mi vorrebbe in casa). (da sè) Le chiavi dunque le ha il signor alfiere?

Pantalone. El gh’ha la roba, l’ha porta via le chiave.

Garzia. Qual è l’appartamento di don Alonso?

Pantalone. Quello. (mostra una porta chiusa)

Garzia. E quell’altro di chi è?

Pantalone. Quelle xe le mie camere. (ne addita un’altra)

Garzia. Ebbene, fintanto che don Alonso manda le chiavi del suo appartamento, abiterò nelle vostre camere. (s’incammina dov’è Rosaura)

Pantalone. La supplico, la se ferma. Là ghe xe la mia fameggia.

Garzia. Che cosa importa a me, che vi sia la vostra famiglia? Ci sarà loco anche per me. Ehi, entrate. (chiama alla scena)

SCENA III.

Arlecchino ed altri soldati con bauli, selle, stivali,
schioppi, pistole e altre robe del tenente
.

Pantalone. Cossa xe sta roba?

Garzia. Questa è una parte del mio bagaglio: verrà poi il resto; dite frattanto dove si deve mettere.

Pantalone. Ma... La perdona...

Garzia. Animo, non vi è tempo da perdere. I miei soldati non sono bestie.

Pantalone. Come! Arlecchin soldà?

Arlecchino. Sior sì, domandeghelo al mio preterito.

Garzia. Orsù, entrate in quelle camere. (accenna quelle di Rosaura)